Il nome di Salvatore Mangione, in arte Salvo, è diventato quello di una superstar globale dell’arte nel momento in cui una sua opera pittorica, durante l’autunno del 2023 ha sfondato il tetto d’asta del milione di dollari sulla piazza di Hong Kong.
Di lì in poi, la febbre. Chiunque aveva in casa un Salvo, grazie alla magica liturgia delle aste d’arte globali, si è sentito un collezionista monetariamente più ricco, e chi ha voluto trarne un vantaggio, ha messo sul mercato la sua preziosa pepita d’oro, approfittando del trend rialzistico allo stesso modo in cui il parco buoi si agita sulle piazze borsistiche dopo gli strilli giornalistici seguiti all’ultimo picco azionario.
I mercanti che ieri convincevano i collezionisti che un inconfondibile accrocchio dell’Arte Povera era un’opera da acquisire a tutti i costi, con lo stesso sorriso in faccia oggi si trovano a vendere delle coloratissime pitture, realizzate con colori ad olio su tela tesa su un telaio, proprio del tipo di quelle che fanno usualmente i pittori.
Ma i mercanti hanno la missione di vendere, e “se il mercato chiede Salvo“, glielo devono dare, così come il moquettista vende moquette al mercato che la chiede.
L’ironia della sorte è che Salvo è un pentito: sull’onda del ’68 infatti si unisce al gruppo di artisti che viene poi lanciato con il nome di Arte Povera e la sua ricerca concettuale matura all’interno di quel movimento, pur ritagliandosi comunque un suo timbro personale a cavallo tra l’autocompiacimento narcisistico, l’arcaismo citazionista e il monumentalismo.
Esemplari e perentorie a questo proposito le sue lapidi:
Per non dire della serie delle “benedizioni” in cui citando l’iconografia religiosa lavora sul proprio io, compiendo quelle che sono riflessioni sul concetto di sacralizzazione attraverso il gesto simbolico che, lungi dallo scadere nella boutade rimangono, forse grazie alla sua salda cultura visiva, in ambito metafisico.
Insomma la fase di carriera precedente al 1973 lo identifica come un artista concettuale, esponente dell’Arte Povera. Ma in quell’anno si compie la svolta, che lo riconduce ad esprimersi attraverso la pittura, per non abbandonarla mai più, fino alla sua scomparsa nel 2015.
In questo senso lo abbiamo definito un pentito, anche se lui stesso dichiarò che quella decisione non fu in antitesi con quanto fatto sin ad allora e non si trattò di un cambio repentino ma graduale, nel senso che l’opera che marca la virata, “Il Trionfo di S. Giorgio”, contiene ancora elementi concettuali, citazionisti e monumentali.
Eppure la cosa singolare è che la vendita milionaria su una piazza asiatica, in un contesto culturale distante da quello di origine dell’artista, è avvenuta per un’opera di pittura, ormai distante dalle forme marcatamente intellettualistiche della prima fase di carriera.
Una pittura giocata sul colore acceso e luminoso e sulla forma semplificata fino al naivë ma senza esserlo realmente, poiché la consapevolezza, il gusto e la sapienza pittorica traspaiono, come pure l’esito visivo frutto di un processo di progressiva raffinazione per sintesi.
Record d’asta progressivi come quelli che si sono succeduti fino al botto non sono semplicemente frutto del caso, quando la vendita viene aggiudicata a somme decuplicate rispetto alla stima di partenza, ma possono essere sintomo di una “valorizzazione” postuma intenzionale.
Ma in tutto questo il dato che colpisce, guardando le opere ormai “Oggetto del Desiderio” dei collezionisti, è il ritorno in grande stile della Pittura nel mercato.
I quadri influiscono fisicamente sulle persone che li guardano
Alan Bennett
Una pittura dal linguaggio semplificato, che dà gioia agli occhi. Che siano pure occhi a mandorla, non cambia nulla, la gioia viene percepita. E se le aste milionarie si ripeteranno come probabile, qualcuno si azzarderà a dire che dopo tante forme di arte diverse ed estreme a fare da protagonista, la pittura rientra nella zona alta del mercato internazionale.
Una pittura che torna ad essere bambina, che parla con la forma ed il colore e lo fa con frasi visive formalmente semplici, ma mostrando al contempo la coscienza delle esperienze attraversate, la consapevolezza delle riflessioni concettuali conseguite, il fatto che una ripartenza la si affronta dall’inizio, ma con spirito rinnovato.
E noi ringrazieremo Salvatore – un nome perfetto per il ruolo – per la magnifica impresa portata a termine: aver avuto il coraggio di tornare alle proprie origini, dopo una prima affermazione di carriera con lapidi e benedizioni, tanto argute, intelligenti e stimolanti, ma non coinvolgenti quanto la pittura sul piano inconscio, dove è il cuore a comandare e la metafisica a farci tornare a guardare l’immagine dipinta dopo averla guardata la prima volta.