Eike Schmidt, direttore enfant terrible del museo italiano più famoso nel mondo, le Gallerie degli Uffizi, l’ha toccata piano, quando qualche tempo fa in una delle esternazioni per le quali fa discutere vivacemente, ha affermato che “preferirebbe ai soloni dei musei 100 influencers”.
Beh, non l’ha toccata troppo piano, occorre dirlo. Ha buttato una atomica. La sua linea decisamente pop nella gestione di un museo così sotto i riflettori di tutto il mondo ormai è ben nota, gli ha fruttato innumerevoli polemiche, alle quali ha saputo sempre ribattere argomentando e rialzando la posta.
La sua idea di gestione è chiara: estendere il bacino di pubblico sul territorio fisico con il concetto del museo diffuso, per esempio con il lodevole progetto Terre degli Uffizi, ed ampliare la platea digitale con le iniziative più disparate in ogni ambito del web compresa la blockchain, per catturare l’attenzione delle giovani generazioni.
A guidare la sua battaglia per la virtualizzazione del concetto di Museo è la sua convinzione che “più un’opera è presente nel mondo digitale, maggiore è la richiesta dell’originale fisico”.
Ed ecco quindi spiegata la realizzazione di NFT di alto profilo (e costo unitario) tratti dai capolavori per cui gli Uffizi sono famosi nel mondo, una vicenda che ha aperto un varco verso il futuro e contemporaneamente sollevato lo spinoso problema della regolamentazione delle edizioni digitali.
Insomma, se contiamo anche le iniziative di colloquio con l’arte contemporanea, la sequenza degli argomenti sensibili che ha sollevato l’intrepido direttore è ormai lunga, ma le polemiche si sono infuocate alzando un gran polverone quando invitò e accompagnò in visita ai capolavori la più nota influencer generalista nazionale.
Ebbene, la sua risposta al fuoco di critiche ricevuto per l’iniziativa è degna di approfondimento, perché oltre a dare il titolo a questo articolo apre una prospettiva sul concetto di Museo e più in generale su quello di Arte in un futuro per nulla remoto, anzi prossimo, quasi presente.
I Musei sono lo scrigno della nostra memoria culturale, estetica, sociale. Per preservarne l’esistenza stessa, e tutelare l’ispirazione profonda che da essi scaturisce, è necessario mantenerli in costante relazione interattiva con una società che cambia di continuo e a velocità crescente. Questa è una esigenza irrinunciabile.
Ed eccoci al punto: nel mondo dell’Arte di domani mattina, quali saranno gli attori in una società che sta virtualizzando sempre più i flussi di dati e interessi? Ritroveremo quelli di sempre, ne scompariranno alcuni, prenderanno piede altri?
Consideriamo alcuni indicatori. Mai come ora sono i numeri a dettare le tendenze, in tutti gli aspetti della nostra civiltà. Quindi parlare di arte da questa prospettiva significa parlare di mercato dell’arte.
Se mercato per le merci significa borsa, per l’arte significa aste, ossia il circuito delle grandi case multinazionali dove passano di mano opere e collezioni per quelle cifre record che fanno notizia e mantengono alti interesse e considerazione per il sistema dell’arte così come lo conosciamo.
E il “mercato” è fotografato in questo grafico in modo lampante. Quasi tre quarti del fatturato planetario del settore si fa sulla sola piazza di New York. Questi sono i numeri che sostengono l’idea e l’architettura del sistema dell’arte che conosciamo.
A guidare la classifica dei record d’asta in questo momento è l’opera “Salvator Mundi” attribuita a Leonardo, battuta a $ 450 milioni, secondo posto De Kooning con $ 300 milioni, terzo Cezanne con $ 250 milioni.
Questa è la giustificazione economica che mantiene erette le facciate perimetrali dell’edificio di un sistema in cui a decidere le tendenze da far ricadere ovunque è un gruppo ristretto di operatori.
Ma nel frattempo, per i rapidi cambiamenti in corso sullo scacchiere mondiale, la dedollarizzazione è in corso a velocità crescente (-9% solo quest’anno), e il baricentro economico si sta spostando fuori dal blocco occidentale. In quell’Asia, che per il mercato dell’arte intesa come insieme delle piazze d’asta nel 2020 quotava il 25% del totale globale e ora si è ridotta al 10%.
Due tendenze incrociate che non mancheranno di produrre mutamenti sugli equilibri globali, con ricadute che vedremo in quale forma si materializzeranno, ma che inevitabilmente avverranno: la domanda non è se, ma quando.
Così come stanno già avvenendo cambiamenti tettonici nell’atteggiamento del pubblico verso i media dell’era precedente al web: la TV, la radio, i giornali, quotidiani e periodici, media non nativi digitali, ma basati su broadcast non interattivo, perdono pubblico a ritmo tale che senza i contributi governativi sarebbero già collassati.
I numeri indicano che non vengono più ritenute fonti credibili, quindi gli utenti, in quota che è già oltre il 50%, cercano contenuti sul web, orientandosi come possono e cercando in internet una figura simile a quella già conosciuta dell’opinionista.
E l’interattività della rete, la possibilità di instaurare una conversazione con qualcuno di cui si reputano interessanti i contenuti online, ha reso strategica la figura dell’influencer rispetto a quella dell’opinionista classico, l’esperto a cui non si possono fare obiezioni perché parla dal palco tv o dagli editoriali della carta stampata: insomma uno di quei “soloni” che il direttore degli Uffizi ritiene figure sorpassate perché volutamente distanti dal pubblico.
E nel mondo degli influencer troviamo, oltre a fenomeni davvero discutibili, anche realtà di estremo interesse, animate da figure che hanno differenti estrazioni: vi sono artisti che hanno preparazione e capacità comunicativa tale da creare la propria community in modo indipendente, instaurando con essa non solo una conversazione ma anche meccanismi con i quali sostenere economicamente la propria attività di autori. O appassionati d’Arte, che riescono a sensibilizzare e ingaggiare la relazione con il proprio pubblico grazie ad un approccio innovativo, rapido e coinvolgente alla materia che amano.
E che, quando incarnano efficacemente quella figura che oltreoceano chiamano citizen journalist, si guadagnano sul campo, in modo meritocratico, la fiducia del pubblico nello scoprire artisti, iniziative, eventi validi e degni di attenzione.
Ancor più che la quantità numerica di follower, per un influencer serio è fondamentale infatti la credibilità guadagnata nel tempo, post dopo post, video dopo video, e che in pochi rapidi accessi ai suoi profili chiunque può valutare a colpo d’occhio.
“I social media non sostituiscono nulla, ma completano tutto”
Neal Schaffer
Insomma il contrario dell’esperto che presentando il suo ultimo libro dalla cattedra della tv vorrebbe persuaderci del valore artistico di qualcosa, in forza del suo prestigio che è espressione di un mondo apparentemente ancora in piedi, ma sorpassato nei fatti.
Preistoria, stando alla accelerazione attuale dei cambiamenti sociali. E che fosse preistoria già quando questa rivista è nata, per gli artisti e grazie agli artisti, è indicato dal fatto che il sottotitolo di Ieroglifo è la prima rivista d’Arte senza critici.
Grazie quindi ad Eike Schmidt per aver sollevato un tema importante per l’Arte, anche quella con la A maiuscola. Certo, lo ha fatto in modo eccessivo e più che opinabile, portando nel museo un personaggio che punta sulla massa tanto da screditare la figura stessa dell’influencer, e scatenare il “puzzanasismo” di molti.
Ma guardiamo a sangue freddo la parte buona dell’iniziativa, puntiamo alla competenza autentica e intravedremo qualcosa del futuro dell’Arte e del suo rapporto con la società.