Nato a Boulder, Colorado, nel 1962, John Currin è un pittore figurativo statunitense. Dopo aver studiato pittura privatamente presso Lev Meshberg, pittore tradizionale ucraino di nascita, consegue la Laurea in Belle Arti a Pittsburg e il Master, sempre in Belle Arti, a Yale.
Iniziata l’attività espositiva nel 1989 a New York, con la mostra che il MoMa gli dedica nel 1997 la sua carriera internazionale prende il volo.
Attualmente, secondo alcune classifiche, con un patrimonio personale che sfiora il miliardo e mezzo di dollari, è considerato il pittore più ricco al mondo.
Ora, se in una notizia del genere di vero ve ne fosse anche solo una piccola parte, il caso Currin meriterebbe comunque una maggiore attenzione.
Perché sfata alcuni miti e ci insegna qualcosa.
Mito 1: “Di Arte è difficile campare”
Il mito dell’artista squattrinato – che ha condizionato socialmente questa attività e il fatto che venga scelta per la vita – viene definitivamente demolito da un autore i cui comportamenti e immagine sono connotati da una complessiva serietà, lontana da eccessi e bizzarrie gratuite.
Quindi non solo il campare di arte è oggi da considerarsi possibile, ma addirittura ovvio. L’Artista infatti produce contenuti socialmente utili all’entropia della coscienza collettiva.
Una attività tanto delicata quanto essenziale, che è conseguente venga ricompensata nella misura della responsabilità che comporta. Non è necessario giungere ai livelli economici di Currin, ne è del tutto sufficiente una frazione per una sana, produttiva e sensata attività artistica.
E la buona notizia è che, con le possibilità pratiche che il web offre e le dovute competenze si tratta di un obiettivo del tutto raggiungibile in proprio.
Mito 2: “È necessario industrializzare”
Le botteghe d’Arte, nelle quali l’Artista delegava l’attività a stuoli di collaboratori sono esistite da secoli, sono noti i casi di Rubens o Tiziano. Ma in tempi più recenti, allo scopo di rispondere alla richiesta quantitativa di opere da parte del mercato, l’acuto Warhol estremizzò la delega, perfezionando il modello della “Factory” che produce industrialmente opere per conto dell’Artista, la cui firma si trasforma in brand, e mutua così alcune dinamiche tipiche del mondo della Moda.
Sdoganato il concetto di industrializzazione della produzione artistica, artisti industriali da media impresa come Mark Kostabi, Takashi Murakami, Jeff Koons, Damien Hirst, ne hanno allestito la loro versione, ognuna con le proprie specificità: Kostabi per esempio è almeno in grado di realizzare personalmente le opere che poi fa produrre ad altri secondo una formula. Murakami anche, pur avendo un gusto tutto giapponese che straborda nell’oggettistica nonsense.
Koons, che viene dal mondo della finanza, si vanta di “Non toccare la materia” arrogando a sé la sola parte che spaccia essere di maggior valore, quella della ideazione. Snobismi come vie di fuga intellettuale, insomma. Di Hirst è noto e certificato che non sa né disegnare né dipingere ma ha molteplici competenze di marketing, come ad esempio inventare titoli di opere apparentemente geniali.
Currin, al contrario, non pare aver usato questi modelli di business per lavorare ma, sebbene sia pensabile abbia assistenti, nella sua produzione l’attività svolta di persona si percepisce come preponderante.
Cioè parliamo di un pittore che si prende carico di realizzare opere di figurazione, anziché fare come l’anziano Gerhard Richter che, armato di racla autoprodotta, oggi intonaca metri e metri quadri di tele con colori a contrasto realizzando opere battute in asta per milioni di $ come “capolavori astratti”.
Mito 3: “La pittura figurativa è sorpassata”
Terzo mito sfatato è che da quando la pittura figurativa con legami alla tradizione fu ostracizzata dalle tendenze della critica d’arte, non si potesse ambire ai vertici del mercato mondiale attraverso quel modo di fare arte, quel linguaggio, quell’atteggiamento e, non ultimo, quel sistema di valori che si porta con sé.
Currin nelle varie fasi della sua carriera, non ha mai abbandonato un linguaggio pittorico figurativo che senza vergogna mostra il proprio debito verso la tradizione che lo ha preceduto.
Diventando a tratti citazionista, quando schiaccia l’occhio alla pittura nordeuropea di Cranach e Durer.
A tratti illustratore vintage, quando si avvicina alla narrazione visiva vivace ed aneddotica dell’americanissimo Norman Rockwell. Narrazione che a volte spinge fino all’estremo della caricatura deformante, con corpi femminili sproporzionati in magrezza e grassezza, che sfida la platealità dell’effetto solo per il controllo stilistico del tratto.
Quasi una riedizione per altri versi delle opere satiriche che un artista robustamente completo come il nordico Jacob Jordaens compì a suo tempo.
Perché una cifra che a Currin di sicuro appartiene è quella dell’ironia, visibile e trasversale in tutta la sua opera. Una ironia cólta, controllata e sostenuta dalla necessaria tecnica pittorica, per evitare scivoloni nelle composizioni più azzardate.
Per non parlare della “trasgressione pornografica” che ha caratterizzato una fase abbastanza recente della sua produzione. Discutibile, se vogliamo, persino piegata a dare una prevedibilissima novità al suo mercato, eppure con esiti artistici comunque non indecenti dal punto di vista della pittura. Qualcuno storcerà il naso sulla scelta poetica, è legittimo, ma se sei in grado di dipingere un quadro di un certo gusto anche su un soggetto che viene da un giornale vietato ai minori, allora sai il fatto tuo.
Del come un pittore figurativo abbia potuto scavalcare fino ai vertici di mercato una tendenza della critica che da tempo privilegia altro, potremmo dire che di certo alcune buone entrature gli saranno state di aiuto, ci mancherebbe. Tuttavia, in qualche modo il saper coniugare una solida preparazione professionale con la capacità di ritagliarsi una propria nicchia ben identificata presso il pubblico sono fattori che contano.
“Senza atmosfera, un dipinto non è niente”
Rembrandt van rijn
Insomma su Currin l’unica obiezione davvero giustificata che si potrebbe sollevare è che sia un po’ borghese. Ma francamente, nel panorama del mercato d’Arte attuale, è davvero il minore dei mali.
Se pensiamo poi a quanti artisti celebrati come rivoluzionari erano intimamente più piccoloborghesi di Théodose de La Peyrad, ecco, la chiudiamo lì.
Il semplice fatto che un Artista americano riconosca nella sua stessa opera e nelle dichiarazioni pubbliche il tributo all’Arte della “Vecchia Europa”, è già molto.
Tanto più se pensiamo che invece la guerra fredda culturale portata dagli USA ha lucidamente voluto demolire il primato morale ed estetico dell’Europa, per aprire le porte alla supremazia mercantile angloamericana.
In una mostra del 2016 al museo Bardini di Firenze, l’evidente ammirazione di Currin per la tradizione pittorica europea ha fatto sì che il confronto tra le sue opere nuove e quelle antiche del museo tra le quali le nuove furono collocate fosse interessante, anziché impietoso verso il nuovo come in altri analoghi esperimenti espositivi.
Insomma per concludere prendendo il buono dal caso Currin, potremmo dire che esso rappresenta un viatico per un giovane che voglia dedicarsi alla pittura:
“Vai, dipingi, fallo bene, abbi qualcosa da dire e non smettere di studiare. Potrai camparci più che dignitosamente e raggiungere una tua realizzazione”.
Ma con quale poetica? Currin attraversa il nihilismo del nostro tempo, che tende a svilire e banalizzare ogni cosa, adattandovisi attraverso la cifra del grottesco, raffinato, elegante e pop, ma pur sempre deformatore della realtà.
E tuttavia costituisce un decisivo precedente per chi voglia spingersi laddove lui non ha osato, ossia rimettere al centro dei propri valori artistici quello più eterno, che si è voluto diventasse tabù: la Bellezza.
2 comments
Purtroppo la casistica e ancora di più la realtà smentiscono i dati riportati nell’articolo, non sappiamo se la ricchezza del pittore citato sia frutto in toto della sua attività artistica o preesistesse, a quei pochi che riescono ad ottenere una risposta positiva dal mercato, esiste una massa di artisti ignorati in parte o del tutto, e la cosa non determinata dalla qualità, ma da un sistema che conosciamo bene, per dirla con un proverbio, una rondine non fa’ primavera.
Caro Marra, Lei è liberissimo ovviamente di vedere il bicchiere mezzo vuoto anziché mezzo pieno. Ritenere da smentirsi quanto scritto nell’articolo – ricco peraltro di distinguo e precisazioni – offre un ottimo pretesto per non cominciare neppure a mettersi in gioco. Non faccia nulla quindi, si tenga care le sue convinzioni, non verremo noi a disturbarla. Per noi il “Caso Currin” è e rimane uno spunto per agire. Il fare trasforma il mondo, il dire lo confonde. 1000 cordialità!
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