Già dal 1980, nelle scuole di formazione artistica, i grandi maestri, sostituiti da nuove figure professionali che avevano solo delle nozioni teoriche, ritenevano l’esperienza tecnico-manuale non sufficiente per formare i nuovi talenti, in quanto limitava la crescita a uno stadio pre-analitico e quindi inferiore al sistema puramente mentale perché più logico, razionale e analitico.
La drammaticità di questo problema, che tanto ha pesato in questi anni, ha portato alla decadenza e frantumazione di un patrimonio culturale che da secoli aveva contribuito a illuminare la cultura visiva.
Allo stato attuale, la scuola, che avrebbe dovuto tutelare, sostenere e coltivare con più vigore la sensibilità dei nuovi operatori visivi, è diventata un luogo di ciarlatani, incapaci di trasmettere il senso che da sempre ha formato i giovani alla disciplina del fare arte.
A chi non pratica la nostra attività è bene ricordare che l’Arte nasce dalla relazione uomo-strumento-attività, procedimento che stimola, se trasmesso con una sana sensibilità, a migliorare le varie qualità percettive, ovvero alla dinamica dei movimenti (cinestesi) dai quali scaturisce la qualità del pensiero visivo.
In questa prospettiva, attraverso gli studi sull’Arte di R. Arnheim, la nostra epoca ha ridato dignità all’attività del fare, ma i nuovi addetti ai lavori, privi di una buona conoscenza in materia, si sono assestati su un principio didattico meramente concettuale ritenendolo più “moderno” perché, liberato dallo stretto contatto con la materia, dava più spazio, secondo loro, ad un pensiero ideativo libero dalle mani e dai sensi.
Oggi, dopo la glaciale e logorante esperienza concettuale, i risultati che hanno atrofizzato e standardizzato i nostri corpi, riscoprono per altre vie le possibilità di riattivarli con l’intenzione di recuperare l’equilibrio tra corpo e mente.
Purtroppo, però, le scuole d’arte vivono tra mille difficoltà e i maestri, penalizzati da una parte dagli scarsi contributi e dall’altra da una didattica poco adeguata all’esercizio dell’Arte, si chiudono come un riccio, con la speranza che le cose vengano risolte dall’alto.
Dal mio punto di vista l’Accademia non può essere la palestra di un rito mentale esclusivamente fisico-meccanico, perché non ci sembra possibile separare questi valori, considerando alcune cose sacre e altre profane: la sapienza più alta deve essere “mista” alla conoscenza pratica, la vita contemplativa combinata con quella attiva.
Infatti, l’antropologia insegna che le esigenze del corpo e quelle dell’anima vengono soddisfatte insieme, invece il soddisfacimento dei soli bisogni corporei è la maledizione della civiltà contemporanea.
Ciò che è possibile nell’Arte diventa pensabile nella Vita.
Brian Eno
Già con Paul Klee l’idea dell’arte era quella di rappresentare ciò che è latente, nascosto sotto la superficie, ma anche con il grande Leonardo l’idea-forma nasceva non dalla copia della realtà, ma dalle qualità terziarie, che sono quelle di massima impressione della memoria visiva.
Infatti, quando osserviamo qualcosa noi non ricordiamo gli aspetti ottici, ma semplicemente le qualità di massima impressione nella memoria visiva. Si ricorda per esempio, l’atteggiamento amichevole o ostile, di simpatia o antipatia ecc., la stessa cosa che accade quando si ripensa a una città visitata.
La memoria visiva trattiene ed evoca forme che non sono di rappresentazione ma di espressione, non sono analitiche, dettagliate, ma di sintesi.
Oggi però accade che il segno diventa un surrogato della parola parlata e scritta, un mezzo anche visivo e quindi più rapido e sintetico.
In questi casi i contesti di segni sono analoghi al discorso verbale-concettuale e costituiscono la comunicazione visiva che di frequente poco o nulla ha a che fare con la vera Arte.