di Cataldo Motolese
Oramai da alcuni secoli gli artisti sono fuori dall’anonimato a cui erano costretti per appartenenza alle corporazioni. Oggi, svincolati da esse, sono spesso esseri mondani gaudenti, e ciò suscita maggiormente il mio interesse per tutto ciò che rende concepibile il loro impegno. Ovverossia le loro affinità pratiche con il mondo, nell’ambito sociale in cui esercitano e con le autorità che lo innervano.
Ed è legittimo che gli artisti ottengano un’equivalenza specifica che consente loro di accedere in rapporti con commissionari e mecenati in relazioni sempre più complesse data una più articolata attività sociale.
Nell’attuale cultura della comunicazione di massa spiccano nuove varianti e singolarità dell’artista, se non addirittura delle guide in senso stretto. In prospettiva futura quella dell’artista non sarà più la figura anomala che fu nel romanticismo, ma l’individuo ideale, la star culturale, le cui forze creative si rimescoleranno con quelle decisive di venditore di se stesso ed esperto di marketing.
La notorietà non dipende soltanto dalle caratteristiche specifiche delle opere, quanto soprattutto da cause esterne. I capolavori celebrati dell’arte devono la loro fama specialmente al discorso artistico che li ha spiegati in quanto tali, proiettandoli nel cielo della fama.
Ci sono opere che si elevano a una notorietà quasi immediata, capace di diffondere luce per un istante e poi spegnersi per sempre.
Più amate sono invece quelle opere che, dopo una limitata legittimazione, a poco a poco si innalzano per mezzo delle contingenze storiche. “Guernica” di Picasso è ascesa ai vertici proprio in virtù di esse, ed è preservata ora come un cimelio in una cappella al Prado.
Guernica: culla del popolo basco e simbolo universale della pace grazie a Picasso.
Ogni comunità sulla faccia della terra che abbia sofferto le atrocità della storia è diventata sinonimo del quadro Guernica e del luogo; Guernica, la patria spirituale offesa dei baschi assediati. Ogni volta che il lungo lamento delle sirene risuona in qualche città minacciata lontano da noi, ogni nuovo conflitto, ogni nuovo bombardamento, ogni atto di devastazione totale pone il quesito: sarà questa la Guernica della nostra epoca?
Van Hensbergen 2006
Mi sono soffermato a chiedermi perché l’opera di Picasso è un’icona del Novecento? Perché non altre opere d’arte opportunisticamente espresse come per esempio gli affilati disegni di Georg Grosz? La prima risposta che mi sono dato e che Guernica è un’opera di “Picasso”, un avvalorato produttore di aura non meno elevato di quanto non lo sia come produttore di arte.
La seconda risposta è che Picasso non richiama in Guernica nessuna relazione esplicita né agli oppressori assassini, né alle vittime, producendo così una totale astrazione dal fatto di cronaca.
Guernica è simbolo di ogni guerra, di ogni sofferenza e di ogni violenza. Sul palco espone la crudeltà e il supplizio universale e non solo quello dei baschi trucidati.
Picasso, insieme ad un gremito drappello di artisti dell’avanguardia, reclama il solenne diritto all’autonomia dell’arte e ai meriti indipendenti della composizione, della forma e del colore. Ciò nonostante questa autonomia viene alla luce, fin dall’inizio, su premesse confuse.
Nel padiglione spagnolo della “Esposizione internazionale Arts et techniques dans la vie moderne” nel 1937 di Parigi, è esposta Guernica e di lì a poco svetta una colonna dove impera una svastica.
La natura «teatrale» di Guernica è esattamente ciò che occorre per conciliare diplomaticamente i paesi partecipanti o, almeno, per non fare emergere i loro conflitti. Inevitabili differenze intollerabili tra Guernica che allude ad una “colpa universale”, e i collage di Heartfield che indicano una “responsabilità” che, come tale, non è moralisticamente adattabile all’umanità intera, ma indica, appunto, chi ha commesso delitti così atroci e reali.
Il carattere individuale, di unicità, di originale atmosfera, suggestiva ed evocativa, dell’opera d’arte, contraria per questo alla rappresentazione realistica, detta le connessioni interne all’apparato dell’arte.
È grazie all’aura che il lavoro degli artisti diventa opera assai ambita e diviene emblema. E fa sì che i miliardari si trasformino in collezionisti e mecenati.
L’Aura è il potere dell’arte.
Cataldo Motolese