L’Editore – bontà sua – ci aveva tutti invitati ad un drink alla Terrazza Martini ed io, diciamoci la verità, non mi capacitavo se ero più infastidito dalla troppa angostura miscelata incautamente dal bar-tender nel mio Manhattan oppure dalla bizzarria della sorte che mi vedeva seduto esattamente in questo apparentemente ameno luogo, la Terrazza Martini appunto, che negli Anni di Piombo fu retta proprio da quel Roberto Dotti, sommo doppio-giochista, a cui l’apicale Testa D’Uovo delle BaggianateRosse – Corrado Simioni – affidò la compagna-rossa Mara Cagol come per dire: «Mara, dai, confessati a Roberto, dagli la tua anamnesi veritiera».
Non credo alle coincidenze ma non si può far finta di nulla quando ti si parano dinnanzi agli occhi: avevo il giorno prima dato il “visto si stampi” del mio “I Cacodemoni“, un romanzo che spesseggia l’atroce agonia di Aldo Moro, quindi il mio disorientamento era marcato.
L’Editore se ne accorse subitaneamente e per distrarmi mi prese in contropiede dicendomi che gli dovevo un “pezzo”, gratuitamente, senza pecunia insomma, che lui avrebbe usato per alleggerire l’argomento sul sito della Casa Editrice: non potevo tirarmi indietro, costi quello che costi, così fingendomi interessato gli sollecitai il titolo e lui mi sparò ad alzo zero, icasticamente: «Voglio che tu mi scriva un pezzo sull’Eleganza, sul concetto di Eleganza!».
Incassai, senza fiatare, il colpo: era sin troppo evidente non solo la distonia col romanzo ma peggio, l’enorme difficoltà di prendere di petto un concetto come quello dell’Eleganza che par piano, scontato, ma non lo è affatto.
Scorrazzando nel retro della automobile à la page (elettrica) dell’Editore, la quale percorreva quel non breve tragitto sino a casa mia, come una lumaca (non per la velocità quanto per la silenziosità) su una enorme foglia di serica lattuga, mi venne in mente una frase detta dal marziano del jazz, Eric Dolphy, sulla Musica che faceva pressappoco così: «La Musica non la puoi catturare. La puoi suonare, la puoi ascoltare, la puoi scrivere, la puoi incidere, la puoi riprodurre, la puoi mettere in scena ma non la catturi davvero mai. Una volta che tu l’hai fatta scompare, vola via. La puoi rappresentare enne volte ma non è mai la stessa».
Mi disperai ancor di più perché ebbi il sospetto che l’Eleganza sta al pari della Musica: non la catturi, non la afferri sebbene pensi di poterlo fare (la fotografi, la disegni, la indossi, la confezioni, la appronti in una mise, la scegli, la schizzi in un bloc-notes d’artista, ne tagli i pezzi di tessuto e li assembli ma non la afferri mai davvero, impenetrabile alla fine dei conti).
Eppure qualcosa dovevo metter giù ed anche alla svelta visto che avrei dovuto consegnare il pezzo l’indomani stesso! Così bighellonando per la casa col velleitario tentativo di scacciar via il fastidioso pensiero dell’articolo, l’orrore coinvolto a questo pensiero del foglio bianco, immacolato, col file di word aperto sul nulla, ecco che mi imbatto in uno scartafaccio di ritagli di giornali, di riviste e spostandolo con la scusa sempiterna di mettere in ordine, cosa che abortisce sempre, spunta fuori una foto di Richard Avedon: un suo ritratto od auto-ritratto, non importa saperlo.
L’inarrivabile fotografo è mostrato in maniera totalmente inconsueta rispetto ai suoi stilemi iconografici: le braccia sono mosse di un mosso che pare una dimenticanza, uno sbaglio specie per uno come Avedon che ha “gelato” modelle che zompettavano come antilopi tanto dentro quanto fuori dallo studio mostrandole irreprensibilmente ferme, congelate, algide nella loro aura.
Nel gesto avedoniano poi pare di scoprire come una voglia, un desiderio quasi impellente, di rimettersi a posto, non è dato sapere se avesse voluto rassettarsi la chioma oppure chissà cosa, fatto sta che il tutto rende l’Immagine inconsueta, fuori dagli schemi, intimamente anti-retorica al massimo grado, come se Lui si fosse messo a nudo, in una nudità non peccaminosa ma quasi sacrale, lustra da ogni e qualsiasi accenno di lussuria, paradisiaca.
“La vera eleganza infrange i divieti, anche quelli più sommi.”
YUKO MISHIMA
Ecco! L’Eleganza è innanzitutto tutto questo: essere Inconsueto, incarnare l’anti-retorica nella sua quintessenza, mettersi a Nudo in un baluginare latteo, soffuso di Bontà, perché se non si è Buoni non si può veder l’Altro nella giusta luce, nella giusta misura e quindi, parimenti, non si può dare all’Altro una visione di se stessi franca se non si è franchi a nostra volta da sotterfugi; l’eleganza è essere fuori dagli schemi (ecco perché uno dei supremi orrori è acquistare un set pre-figurato messo in vetrina prêt-à-porter appunto!).
Qui mi accorsi che l’Eleganza è fondamentalmente un atout interiore, tutto il contrario di come si potrebbe pensare. L’Eleganza è una Dote Interiore. Dote Interiore che poi si promana all’esterno, non viceversa com’è invece intesa l’Eleganza toto mundi oggi come oggi.
Mentre scrivevo queste note mi ripassavano alla mente la sequela di immagini di film come Histoire d’O oppure di Eyes Wide Shut con tutti quei personaggi sommamente imbellettati in vistose acconciature e ne scorgevo l’immeserimento ad interiore homini che si scopriva appena grattavi l’epidermica superficie smaltata: costoro erano la Predazione fatta Uomo e nulla poteva smaltarli sino a portarli alle soglie dell’Eleganza: erano marci, decrepiti dentro.
Di converso, può accadere che una popolana indossando semplici vesti sia Elegante pur priva della borsa Kelly! Ne ho conosciuta una di persona: era una Samaritana, una persona che Splendeva di Bontà. Se si prende la briga di osservare un combo di musicisti jazz (che non siano nomi stellari i quali talvolta soccombono alle leggi dello spettacolo quindi si agghindano in scena) mentre suonano ci si rende conto del tasso di Eleganza che posseggono naturalmente a dispetto d’esser vestiti non solo semplicemente, non solo non brandizzati ma pure abbigliati quasi a caso. Il fatto è che L’Onestà Intellettuale che in quel momento anima i musicisti nel loro rapportarsi tra di loro risplende anche “fuori” di loro, illumina il resto della platea.1
L’Eleganza di oggi mi ricorda quel tale che irruppe nel nostro giardino con la super-car ed allorché gli facemmo notare che aveva divelto parte di esso, sporgendosi dal finestrino apostrofò così: “Io pago!”, volendo dire che ci avrebbe risarcito ma risarcire la cafonaggine barbara del gesto era impossibile, così “l’io pago” è divenuto il grimaldello attraverso cui si crede di acquisire “quell’élégance” che invece ci è negata dal nostro stesso comportamento di arroganti del conto corrente.
Del resto la mera aleatorietà dei trend – come li chiamano I Venerabili Maestri di quel Globo della Stupidità Diffusa che è la soi disant Moda, salvo rarissime eccezioni2 che vanno solo a confermare la regola – parla perfettamente la medesima koinè vomitata dall’Arte Moderna ove mentre Critici-critici cianciano di “significato versus significante” duplicando come ventriloqui desueti ed orripilanti cliché derridiani in uno small-talk et birignao da cocktail-party questa continua a sfornare una opera più insignificante e non -dicente dell’altra.
Un tempo non lontano la massa, denominata plebe da astuti sociologi e da occhiuti direttori delle squadre di marketing, cercava disperatamente, a dispetto dell’enorme carenza di mezzi economici, di vestirsi imitando jet-set, principesse, caso eclatante la Grace Kelly, aristocratici di corte vari, quindi la domenica dava sfoggio, se si può dir così del proprio meglio: uomini con pantaloni blu e camicia bianca ad esempio, le signore con tailleur con vaghe o meno rassomiglianze col tailleur alto di gamma di Coco Chanel: si cercava di dar il meglio di sé, non economicamente soltanto ma in primis metaforicamente, idealmente.
Oggi la Massa cerca il Peggio, il Volgare, l’Abbruttimento tout court. L’Avvocato di Panna Montata, il vanesio per eccellenza Agnelli, dette uno stringato ma acutissimo parere su ciò: «un tempo […] le contesse facevano le puttane ora […] le puttane fanno le contesse», sic et simpliciter. Non parliamo nemmeno degli Uomini: ci basti considerare la figura che so io di Mastroianni con quella di Fabrizio Corona, di un Fedez, per dirne qualcuno a caso…
La Massa essendo intrinsecamente bestiale, altrimenti non sarebbe una orda, “sente” sulla propria pelle, percepisce nello stomaco, nelle budella, nelle proprie viscere che la propria koinè è esattamente il Nulla, lo Zero metafisico fattosi persona, persona da intendersi come Larva Psichica di chi crede di Vivere (pensando di essere trendy) ma invece è “vissuto” da altri e dunque anela ad esprimersi in modo rozzo, brutalistico, volgare, piratesco, da filibusteria, animale appunto: ecco la fioritura oceanica di tattoo, di pendenti da labbra, lobi, lingua, tutti gerghi di quella che una volta era la canaglia, la teppaglia, la feccia del mondo.
Ecco, la Massa è Feccia del Mondo comandata a bacchetta da gentaglia peggiore di essa, spesso e volentieri seppur in grisaglia oppure doppio-petto gessato come due sgherri tristissimi e pericolosissimi torinesi d’haute borde. La moda del resto vive su di un Inganno aberrante, mostruoso e gigantesco che tanto allieta le sordide squadre di marketing: si accatta uno straccio-brandizzato colla patente scusa di “distinguersi”, di essere appunto inconsueti quando in maniera latente non si desidera altro che irreggimentarsi nella fila dei più, di chi ha “ragione”, di chi è “con il resto che conta”, con i “più”.
Lo abbiamo visto del resto nei tempi della Peste del 2020 quando i delatori di turno denunciavano l’innocuo jogger che sgambettava attorno all’isolato: si temeva l’Inconsueto, il non-allineato, l’Alieno, il Diverso, l’Originale in barba a tutte le tonnellate di retorica a suon di marcia di “qui nessuno è straniero”; il relativismo è il nostro credo; accettiamo il Diverso; Inclusione a tutti e per tutti. Parole senza senso come la Moda.
L’Eleganza è insita nelle più profonde fibre dell’Essere Umano: manzoniamente se tu non la possiedi non te la puoi dare a dispetto di ricoprirti di parafernalia che non a caso vengono chiamati status-symbol (super-car; opere d’arte moderna; orologi e via di seguito): Simboli di uno Stato di Anemia, totem muti; oggetti che non parlano se non del Nulla, al massimo fanno tic-tac come un orologio al quarzo.
Nietzsche diceva degli svizzeri che la loro unica virtù è il tic-tac dei loro cucù: noi potremmo dire che del Resto dell’Umanità la sua unica Virtù è il Vizio di essere Ineleganti.
1 – Ciò non significa che nell’ambito jazz alberghino in esclusiva gli “onesti e puri” giacché quel milieu non si distingue per nulla per amichevolità, se così possiamo dire: si è messo in luce soltanto un momento specifico di quell’ambiente consono al ragionamento sull’Eleganza.
2 – Eccezioni, sono pronto a scommettere, che sono dead-men walking, veri Ultimi dei Mohicani i quali saranno travolti dalla tracimazione dei Barbari à la Kanye West e “Signora” i cui vestimenti sono già un trend maggioritario tra i Volenterosi Carnefici del Gusto (basti dar una fugace occhiata in spiaggia per rendersi conto di ciò…).