Di Rodolfo Granafei
Disse Biante , uno dei sette saggi: “Devi guardarti allo specchio tutti i giorni e se ti trovi bello fare cose belle, se no rimediare con l’azione al difetto della natura”.
Che cos’è l’immagine? Partiamo dall’inizio. E subito ci troviamo di fronte un classico moderno: la famosa macchina fotografica. Cominciamo quindi terra-terra e senza fretta perché la gatta frettolosa fa i gattini ciechi, volendola dire in lingua.
Tutti sappiamo – o crediamo di sapere – che cos’è una immagine, o meglio l’Immagine.
E qui il paradosso sta proprio nelle posizioni di partenza: non siamo forse nella Civiltà dell’Immagine, che ha sostituito la scrittura, la lingua parlata come si deve?
Cosa c’è da sapere, allora? Che cos’è un’immagine?
Ebbene, si dice normalmente “immagine fotografica” per indicare una cosa riprodotta tale e quale, o meglio uguale. Ma uguale a che cosa? L’immagine fotografica, cioè un certo tipo di immagine, sarebbe uguale alla cosa fotografata? La cosa o la persona fotografata sarebbe uguale a… sè stessa?
Davvero se io faccio fotografare la stessa cosa o persona a due persone armate di macchina fotografica, ottengo la stessa immagine?
Se dobbiamo o vogliamo riflettere, meglio interrogare, le voragini si aprono come al solito quando ci chiediamo che cosa vediamo. Non che cosa guardiamo: che cosa vediamo.
Perché il primo passo per provare a capire qualcosa è stabilire che c’è una differenza tra guardare e vedere: guardo da lontano qualcosa che non identifico, mi avvicino e vedo un gatto acciambellato.
Cosa c’è di fotografico nell’immagine fotografica? Basta cambiare distanza, tempo d’esposizione, basta che la macchina fotografica sia vecchia e i risultati sono tra loro inconfrontabili.
Bastano due o tre persone che fotografino la stessa cosa e i risultati sono diversissimi. E sono tutte immagini. Cioè? Macchina fotografica, disegno o pittura, sono sempre
sorpreso quando guardo p.es. un ponte riflesso nell’acqua calma del fiume.
Allora, soprattutto se è sereno, il ponte si duplica perfettamente e, per così dire, l’oggetto totale è il ponte più la sua immagine. Platone parlava di immagini come primo livello della conoscenza, eikasìa.
Ombre di persone e oggetti, cose riflette sull’acqua o su una superificie liscia. L’ombra per il primitivo, dicono, è l’anima.
Il senza ombra sarebbe il senz’anima, dicono, anche che se uno non vede la sua effigie nello specchio, è un effetto diabolico. Per Plotino l’immagine, l’immaginazione non è una semplice facoltà ma una dimensione dell’essere come nous, intelletto, psiche, anima.
Attraverso l’anima l’immaginazione dà risalto e forma alla materia. Ma se vogliamo “attualizzare” la questione dobbiamo arrivare a Jung e seguaci. Il mondo immaginale, Jung, Hilman etc.
Seguendo il filo dell’immagine arriviamo a un vero e proprio testacoda che ci può dare il senso di cosa parliamo parlando di immagine, immaginale etc. procedendo in modo grezzo e rapido, dopo Freud e quella che certi hanno chiamato
invenzione dell’inconscio, siamo di fronte a una separazione o anche frattura fra inconscio e coscienza.
Qual è il nostro massimo serbatoio di immagini, arrivati a questa svolta?
Ciò che ormai chiamiamo stabilmente inconscio, dividendoci tra l’interpretazione freudiana (inconscio individuale) e quella di Jung (inconscio collettivo) è il luogo in cui sono andate a finire le immagini e, a questo punto, possiamo finalmente capire che cosa intendiamo con immagine.
Per Jung noi soffriamo di una assenza di anima. E questa assenza, o meglio desertificazione, deriva dalla vittoria del monoteismo, non solo teologico ma anche scientifico, che ha esiliato gli dei in ciò che chiamiamo inconscio.
Che cos’è quindi la malattia psichichica? È l’assenza del dio e degli dei. Questo esilio ha bloccato la nostra capacità di immaginare.
Rispetto all’apprendimento del giovane, una descrizione fedele della situazione – escluso il paganesimo – è quella che si trova nel De Ratione, un’orazione nella quale Giovan Battista Vico, docente di retorica, spiega come e perché imparare. E qui rifiuta la prospettiva cartesiana che non lascia che il giovane sviluppi la fantasia, ma gli impone subito l’apprendimento di matematica e scienze, depauperandone la capacità fantastica.
Il delitto di Narciso è di preferire, alla fine, la sua immagine a sé stesso.
Louis Lavelle
Hilman ci dice, in modo quasi vichiano, che recuperare la capacità immaginativa significa recuperare la poesia. E anche qui la colpa della situazione presente è sempre quella del monoteismo teologico-scientifico.
Insomma: anche per lui la patologia deriva dall’assenza del dio. Quindi il dio è
l’immagine che rimette in moto tutto. Anche Henry Corbin, studioso francese di vaglia, si trova da queste parti.
Ma se si vuole vedere l’esplosione massima del mondo immaginale, si deve pensare a Tolkien, l’inventore de Il Signore degli Anelli, ossia di un intero mondo immaginale, lingua compresa.
In questa prospettiva, tralasciando Tolkien che neopagano non è, l’immagine in un modo o nell’altro coincide col dio che, ritornando, guarisce l’anima.
Esplicitamente, qui si profila uno scontro estetico, storico, filologico, teologico etc. tra monoteismi – e/o loro interpretazioni – e paganesimo e sua interpretazione.
Comunque vada a finire lo scontro – non si può escludere un incontro – qui che cos’è un’immagine e che cos’è l’immaginario può essere chiaro: mito e mitologia.
Esiste una interessante definizione di imaginale: “agg. (der. di imagine). In zoologia, di imagine, relativo alla imagine o immagine, stadio finale del ciclo della metamorfosi degli insetti: stato i., forma i. (di un insetto)”
Per concludere questo troppo rapido percorso sull’immagine:
Gen 1,27 “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”
Qui, l’immagine sono io, siamo noi.
Rodolfo Granafei