Ravenna, estate di San Martino, 2023. Bruma, di quella vera, DOCG. Siamo a Ravenna ma potremmo essere ubiqui anche nella bretone Trinité-sur-Mer come nella bostoniana Cape Cod per equo sentore d’umidità.
Coincidenza delle coincidenze: pochi attimi prima avevamo tra le mani una bella prima edizione di Tough Guys don’t Dance, giallo psicologico dell’ambiguo Norman Mailer tutto giocato sui chiaroscuri su e giù Cape Cod per l’appunto, messa in luce nella magica libreria “Scatti Sparsi”, trovarobe libresco, autentico bric-à-brac, ove ti aspetti di trovare piccoli gioielli editoriali e puoi star sicuro di trovarli.
Svoltato appena l’angolo – a ridosso della Ravenna downton, quella della oscena movida, da cui scampiamo per miracolo – ci cattura un piccolo, minuscolo anfratto. Lì entriamo, oserei dire, precipitiamo, catturati magneticamente come limatura di ferro polarizzata nei pressi di un magnete.
È quasi tutto all’oscuro, buio: disseminate, a pioggia, quadri, patchwork a metà strada tra un prezioso libro d’epoca su cui si è intervenuto pittorialmente, una suadente poltroncina che ha vissuto tempi migliori, cornici senza tela, una macchina fotografica della defunta Germania dell’Est, moltissimi guazzi messi entropicamente qua e là, non sublime noncuranza, insomma un Antro del Mago, una Wunderkammer che si contrappone all’immondo Impero di Plastica che ci avvolge sempre di più, inesorabilmente, giorno dopo giorno, nostro malgrado. La Società degli Spettri all’Opera.
L’angusto, microscopico, sito pare non abitato, una no man’s land: non c’è una minima luce accesa e siamo all’imbrunire: non facciamo in tempo a calarci nella fascinazione delle opere lì presenti che una voce, dal fondo, di questa caverna platonica, ci chiama e ci accoglie con un caldo benvenuto.
Fausto Fori è il deus ex-machina dell’Antro: pittore in primis, totalmente outsider, ma non solo, ispiratore di un cortometraggio che fu presentato nientedimeno al Festival di Cannes: «La leggenda del muto organetto» per la firma del regista Alessandro Pace. Nel corto Fori è protagonista in carne ed ossa nonché, come si diceva, traccia ispiratrice della storia la quale narra un percorso esplorativo a mo’ di lanterna di Diogene alla ricerca della finale e rivelatrice Rivelazione.
Percorso tortuoso quello dell’artista sulfureo Fori: infatti se la storia si ripete prima in tragedia e poi in farsa, come fece osservare quel tale della germanica Treviri, il pittore Fori subì l’onta massima per un artista, un devastante incendio che mandò letteralmente in fumo una messe di opere sue neanche documentate o catalogate.
Un autodafé assolutamente non voluta dall’Artista ma subita come gogna, come forca caudina infernale. Ma Fori è un ossimoro vivente: altrimenti non avrebbe potuto sopravvivere nel milieu bancario per decenni uno come lui con una tempra d’artista così verace, così fulgida come la sua. Fori – si racconta – sbocciò come poeta e questo è un altro ossimoro per uno come lui che ebbe temporaneamente a pagar pegno alla balbuzie ma presto virò verso il Segno per Eccellenza, la Pittura, il Disegno, complice una débâcle finanziaria subita a livello familiare.
Non avendo tele fra le mani si diede ad assaltare i lindi muri di casa come se fossero le pareti grezze delle caverne di Lascaux… Disegno dopo disegno, quadro dopo quadro, opera dopo opera ecco giungere il Momento Magico in cui un gallerista della Città Eterna gli propone un contratto in esclusiva: “tu lavori per anni solo per me e soltanto per me”.
“Un’antica canzone mi disse che le Fenici nascono anche dalle lacrime”
Fabrizio Caramagna
Poteva sembrare il naturale apogeo per qualsiasi artista ma Fori lo sentì sulla sua pelle come un Vincolo, un Legame, un novello patto faustiano in cui vendere sebbene a caro prezzo, la creatività in cambio di una potenziale vita artistica eterna. Il carattere ossimorico era ancora in agguato: rifiutò di netto, in maniera tranciante. Libero era e libero voleva rimanere, come l’Aria, come la Musica dal Vivo che non si cattura neanche se la si registra coi mezzi sofisticati.
Ed eccolo lì, come in una macchina del tempo che ce lo ridà hic et nunc, seduto nella semi-oscurità di quella caverna, che guarda coloro che passano imperterriti dinnanzi a tanta beltà dispiegata, abitanti della Società degli Spettri, mentre accoglie chi si sa ancora – nonostante tutto lo scempio da mattatoio dei giorni nostri – commuovere a cospetto della Beltà delle Sue opere.
Rendiamogli un piccolo omaggio: se lo merita, non fosse per il coraggio leonino che ha saputo praticare di fronte alle avversità della vita ed alla palese ingiustizia della critica soi disant d’arte.