Il circuito di polemiche partito dalle parole di Achille Bonito Oliva ricorda tanto il Festival di San Remo. Uno spettacolo di bassissimo livello, ma di cui tutti parlano.
Di provare interesse per quell’indecoroso chiacchiericcio fatto di affermazioni strampalate, repliche, polemiche, insomma le solite quintalate di chiacchiere isteriche fra intellettuali si potrebbe benissimo fare a meno, per rimanere centrati su piani di gran lunga più seri e stimolanti in materia di Arte.
Ma l’osservazione di questo ennesimo fenomeno di botta e risposta fatto di articoli sempre puntualmente carichi di ridondanze dialettiche e tecnicismi teorici, dove vince chi riesce ad impressionare di più il lettore, anche a costo di non dire nulla, può essere interessante su un piano di osservazione profondo.
Un piano di osservazione dove si cercano i messaggi subliminali. Dove si capisce quale sia l’informazione che deve arrivare all’inconscio collettivo.
Volendo andare diretti all’unico punto essenziale interessante di tutto il bla-bla prodotto, la domanda da farsi è la seguente.
Come mai questo pezzo di vecchio mondo ha sentito l’impellenza di ribadire un concetto che sembra ormai essere ampliamente scontato, direi un truismo vero e proprio, all’interno dell’universo dell’arte?
Ovvero che l’arte è un sistema mediatico.
Che esiste solo ciò che viene fatto passare da quel sistema. Che tutto prescinde da meriti, bravura, dal valore effettivo delle opere, dalla loro reale forza comunicativa è quel qualcosa che non va mai detto ma che tutti sanno da decenni.
D’altronde lo stesso Achille Bonito Oliva incarna quel sistema da anni. La prima associazione che tutti fanno col suo nome è quella con la Transavanguardia, movimento artistico da lui creato e promosso. Un gruppo di artisti il cui talento nella raffigurazione era lo stesso di quelli che si divertono a fare scarabocchi nei bagni pubblici.
Eppure quel movimento ha avuto le sue pubblicazioni, i suoi eventi, la sua risonanza, insomma, il suo comodo posto nella storia dell’arte moderna insieme a molta altra roba di altrettanto fittizio rilievo.
“La vita non è un sistema di supporto per l’Arte. È il contrario.”
Stephen King
Però, all’improvviso compare la necessità di ribadire quel concetto, e in qualche modo sdoganarlo culturalmente: senza il sistema, l’arte non esiste.
Quando si arriva a portare così in avanti un concetto che per anni è rimasto nell’ombra, quando si arriva a togliere il coperchio della pentola mostrandone inevitabilmente il contenuto, quel gesto appare tanto come un gesto di disperazione.
Il punto è che il sistema dell’arte sta fiutando un cambiamento di rotta. Un qualcosa che da tempo è nell’aria e che appare ogni volta di più come un’espressione sempre più chiara e netta della sua delegittimazione.
Si tratta di una consapevolezza strisciante che si muove nella base del pubblico ed ha il web come suo centro principale di diffusione.
È diventato un fenomeno visibilissimo, ad esempio, che ogni volta che i maggiori network di divulgazione artistica pubblicano sui social contenuti riguardanti artisti moderni o contemporanei palesemente spinti, promossi, storicizzati dal sistema, questi vengano ricoperti da una pioggia di commenti dove vengono espressi nei modi più coloriti e pittoreschi – come solo il popolo del web sa fare – disapprovazione, sarcasmo, rigetto, disgusto e indignazione in tutti i gradi di espressione possibili.
Ecco che allora tanto vale mostrarsi per ciò che si è: un sistema.
Un gesto disperato per paura di passare alla storia come insignificanti elementi di disturbo nella tessitura del lungo e potente filo della grande storia dell’Arte.