Di Pier Luigi Impedovo
Cosa possiamo chiamare Arte? Quando un’elaborazione creativa del lavoro umano può essere definita artistica? Quale correlazione esiste tra Arte e concetto di bello? Cosa significa bello, quando possiamo definire qualcosa come bella e perché la definiamo come tale? Esiste qualcosa di oggettivo nella percezione del bello oppure è sempre un giudizio soggettivo? L’Arte è un linguaggio? Cosa comunica l’Arte? Quale relazione esiste tra Arte, Bello e Comunicazione?
Queste sono alcune domande che l’estetica, disciplina che indaga sul fenomeno artistico e sulla ricerca di quei criteri che ci inducono a definire la nostra percezione delle forme come appaganti in senso artistico.
L’interazione con l’Osservatore
Se non vi fosse interazione tra colui che osserva un oggetto e l’oggetto stesso, non si potrebbe parlare di linguaggio o di comunicazione. Un oggetto artistico è dunque una forma di linguaggio, ma non tutti gli oggetti sono artistici o comunicano qualcosa a colui che osserva.
Dunque potremmo considerare l’espressione artistica a tutti gli effetti una forma di comunicazione, o un segno o simbolo utile alla comunicazione. Ed in questo caso, come direbbe De Saussure, il linguaggio e la comunicazione si attua tra colui che produce l’oggetto (l’opera d’Arte nello specifico), tra colui che la osserva e il sistema di segni che è incarnato nell’opera d’Arte stessa.
Il Messaggio
Il concetto o messaggio espresso dall’Opera d’Arte è il “significato” in essa contenuto, l’opera stessa nella sua configurazione fisica espressiva (in questo caso parliamo di opere pittoriche figurative o astratte come esempio) rappresenta il “significante”, ovvero il veicolo espressivo della comunicazione artistica, che però rifugge dalle regole di una lingua sociale predefinita ma è espressione, come la “parola”, di una elaborazione individuale per estrinsecare un messaggio o una forma di comunicazione.
Nell’espressione artistica non esiste, come invece avviene nella lingua, una parte sociale convenzionale del linguaggio atta ad esprimere il significato.
Comunicazione Estesa
Sembra che nell’espressione artistica esista solo la parte individuale espressiva, ma questa volta percepibile e comprensibile da chiunque (ciò non avviene nel linguaggio verbale, ogni lingua ha significanti differenti per esprimere un medesimo significato) a prescindere dalla conoscenza di qualsiasi convenzione o regola linguistica propria di ogni singolo contesto sociale.
Stabilite queste relazioni, ma anche definite le differenze rispetto al linguaggio verbale, in cosa si configura la comunicazione artistica tra comunicante e percipiente?
In cosa si differenzia da qualsiasi altra forma di comunicazione?
Linguaggio Verbale e Linguaggio Artistico
Il linguaggio verbale è sempre di tipo consapevole e ha finalità informative. Il linguaggio artistico, invece, ha anche finalità informative. Ma non solo.
Non possiamo però assimilare la comunicazione artistica alla comunicazione verbale soltanto perché espressa consapevolmente (almeno in buona parte esiste un intento espressivo “consapevole” da parte dell’Artista, improbabile pensare che un Artista non voglia comunicare alcunché consapevolmente o che non abbia intento deliberato di lanciare un messaggio che abbia un significato per sé o per gli altri) o perché adotta un segno o simbolo per estrinsecare un significato.
Abbiamo quindi detto che la comunicazione verbale e quella artistica hanno in comune sia il “segno” (che evoca un significato) e sia la volontarietà di comunicare in modo consapevole da parte di chi si esprime verbalmente o artisticamente.
Segno e Convenzione
Ma abbiamo anche detto che il “segno” artistico non è configurabile come convenzione sociale (come lo è la lingua dei singoli popoli coi diversi costrutti grammaticali) ma è più assimilabile alla “parola”, ovvero espressione prettamente individuale ed elaborazione soggettiva atta a comunicare un’idea.
In genere il processo di comunicazione consapevole e logica è quello che fa riferimento all’uso di un linguaggio, ovvero che utilizza un sistema di segni convenzionali atti ad esprimere concetti o esigenze di tipo strettamente informativo.
Nell’espressione artistica però non viene utilizzato un sistema convenzionale (o linguaggio) per esprimere, anche logicamente e intenzionalmente un concetto o un’idea.
Se nel linguaggio verbale la lingua (intesa come regola accettata da un contesto sociale) e la parola (espressione individuale) sono necessariamente correlate, nel linguaggio artistico questo non avviene, in quanto il segno è intellegibile o interpretabile a prescindere dall’esistenza di un sistema di comunicazione convenzionale.
Paraverbale e Inconscio
Una grandissima parte della comunicazione umana è identificabile anche con quella di tipo “non verbale”, che si manifesta in gesti, suoni, simboli, movimenti, atteggiamenti, espressioni, che nulla hanno a che fare con la sfera logica informativa, ma che esprimono inconsapevolmente e al di fuori dal controllo del comunicante la sfera emozionale e inconscia dello stesso.
Ma l’espressione artistica sembra che non possa essere assimilata ad una forma di comunicazione, seppur non verbale, totalmente inconscia o inconsapevole, relegabile esclusivamente a forme di comunicazione di tipo psico-emotivo.
Abbiamo infatti detto che l’artista esprime ed estrinseca, attraverso il segno, deliberatamente un significato nell’opera che produce, significato che scientemente vuole comunicare ai percipienti.
La Psiche all’Opera
Quindi un’espressione artistica non rientra né nella comunicazione verbale in quanto non relegabile a segni convenzionalmente appresi da una comunità specifica, ma anzi universalmente comprensibili, e non rientra neanche nella comunicazione prettamente emotiva in quanto esiste intenzionalità e consapevolezza nel comunicare un’idea o concetto da parte dell’artista.
In ogni caso entrambi gli aspetti, sia logici e sia analogici, entrano in gioco in questo tipo di comunicazione.
Il ruolo del “Bello”
Ma l’oggetto o il concetto comunicato, in che modo ha a che fare sempre con il Bello?
È forse il Bello l’elemento che potrebbe essere identificato come simbolo universalmente comprensibile dal percipiente, ossia da chi mette in relazione con l’Opera?
E il percipiente, nei confronti dell’opera d’Arte ha un ruolo attivo o soltanto passivo, reagisce agli stimoli dell’opera che solleciterebbe proiezioni emotive mediante un simbolismo che egli chiaramente riconosce?
Di certo, se l’Opera d’Arte passa attraverso un’espressione simbolica, anche se utilizzata consapevolmente dall’Artista, dobbiamo mettere in conto anche il ruolo attivo del percipiente, il quale è portato a vivere delle emozioni verso il mondo esterno identificandolo con una realtà che soggettivamente già gli appartiene.
Qualsiasi intento comunicativo da parte di un comunicante, se questo viene identificato come tale dal percipiente, deve essere a sua volta decodificato dal percipiente stesso, o in chiave logica o in chiave emotiva. Tale decodificazione produce sempre e comunque delle energie emotive.
La Decodifica
Ogni tentativo di decodificazione da parte del percipiente, il quale si trova di fronte ad un’opera d’Arte, produce necessariamente un corto circuito interno, il rilascio di un’energia di reazione, che deve essere convogliata in una decodificazione che abbia, sempre e comunque, o una connotazione logica o una di carattere emotivo, o entrambe contemporaneamente.
La prima cosa che il percipiente coglie nella rappresentazione artistica, è innanzitutto il riconoscimento e l’identificazione di un artista, di un produttore di comunicazione che ha, o ha avuto, un intento “logico, razionale e consapevole” di comunicare qualcosa espresso mediante la simbologia della sua opera.
Il comunicante, nell’espressione artistica pittorica, utilizza un simbolo sia che produca un’opera figurativa (in tale caso è una costruzione complessa) e sia che produca un’opera astratta (costruzione archetipica semplice).
Il percipiente, ha dentro di sé il proprio bagaglio o costrutto sociale di interpretazione soggettiva della realtà, ha un vissuto storico esperienziale di decodificazione dell’esterno, dell’altro da sé. Ogni interazione con l’esterno produce un’energia psichica che conduce il soggetto ad interpretare la realtà soggettivamente, anche ma non solo, mediante utilizzo di codici comuni.
Così, come nella comunicazione non verbale, inconsapevole ed emotiva, avviene che una stimolazione mediante un gesto prossemico, simbolico, un movimento corporeo, induca e scateni una reazione energetica inconscia che deve trovare il suo sfogo in un ulteriore reazione emotiva, altrettanto avviene nella comunicazione artistica, anche se abbinata ad un tentativo logico di interpretazione razionale del simbolo da parte del percipiente. Entrambe le interpretazioni passano comunque attraverso il vissuto soggettivo del percipiente.
Fermare il Tempo
La differenza tra comunicazione simbolica non verbale tra due interlocutori e quella simbolica artistica, sta essenzialmente nella staticità temporale e fisica del simbolo, dell’oggetto artistico.
Anche la comunicazione verbale è in qualche modo interpretabile staticamente (parola scritta) in chiave razionale e informativa, ma essa non è strettamente simbolica.
Proprio in quanto il simbolo nella lingua è utilizzato essenzialmente per tradurre un’informazione, mentre il simbolo nella comunicazione artistica, trasmette contemporaneamente sia un’informazione logica e sia una informazione inconscia, di tipo emotivo.
Il ruolo dei Simboli
I simboli, nella comunicazione umana non artistica, sono elementi sempre presenti che compaiono nella comunicazione non verbale e che esulano dall’intenzionalità consapevole e conscia del comunicante.
Nella comunicazione artistica invece il simbolo diviene:
1) Volontà consapevole di comunicazione, veicolo deliberato e ricercato di trasmissione di significato (pur non essendo e non coincidendo con quello che definiamo “segno” nella lingua parlata).
2) Veicolo di trasferimento emotivo o sollecitazione emotiva inconscia di energia psichica.
Nella comunicazione artistica pittorica esiste quindi il potere evocativo del simbolo che sollecita sempre la capacità percettiva soggettiva, sia logica e sia emozionale, del percipiente.
Questa forma di comunicazione suscita comunque la creazione di energie impiegate alla decodificazione del messaggio proprio in quanto l’opera è percepita come messaggio, come comunicazione deliberata da parte dell’artista produttore del simbolo.
Energie e Coinvolgimento
Pertanto il percipiente recepisce in primis l’esistenza di un comunicatore. Prima di arrivare al giudizio estetico egli impiega le proprie energie per decodificare la simbologia che il comunicatore ha adottato, per decodificare gli aspetti simbolici di tale comunicazione, sia logici e sia analogici, che hanno però anche una valenza e forza emotiva.
Come avviene nella comunicazione non verbale, il soggetto tende a soddisfare i bisogni di alimentazione energetica, ossia il coinvolgimento emozionale mediante l’impiego di simboli egemoni e subliminali della persona.
In pratica il percipiente non può sottrarsi dalla sfera emozionale energetica che la visione dell’opera comporta, la cui interpretazione (del simbolo) comunque provoca una tensione emotiva.
Un esempio in pittura
Si prenda come esempio l’opera di Caravaggio “Davide con la testa di Golia” in cui l’autore potrebbe aver dipinto se stesso sia nelle vesti di Davide e sia di Golia, come a rappresentare la vittoria della purezza sul traviamento del peccato.
Naturalmente è uno dei significati, in questo caso logici e (presumibilmente) estrinsecati volontariamente e consapevolmente dall’autore, estrapolabili dalla simbologia dell’opera; ma ne possono essere individuati altri, sia ulteriori di carattere razionale e sia di carattere emotivo.
Ad esempio il gigante (se stesso) sconfitto potrebbe aprire le porte ad interpretazioni varie di tipo psicoanalitico ed emotivo che possono essere vissute inconsciamente ed emotivamente anche da colui che contempla l’opera.
L’interpretazione logica di un’opera può fermarsi alla contemplazione di un messaggio esplicito o di una raffigurazione esplicita, magari di qualcosa di reale.
Fotografia e Simbolo
Facciamo un altro esempio, quello di una fotografia. Questa è la rappresentazione dell’esistente, pur non essendo l’esistente. In termini logici la fotografia (anch’essa simbolo) è esplicita e comprensibile ed appartiene in modo più immediato al mondo e alla sfera soggettiva del percipiente.
Ma in questo caso la fotografia non è detto che conduca alla creazione di una tensione emotiva rilevante, sia a livello conscio razionale e sia a livello inconscio; magari crea una tensione emotiva “bassa” semplicemente perché la rappresentazione coincide troppo con il vissuto reale di colui che la percepisce e nel contempo, il produttore della foto non viene identificato sufficientemente come produttore intenzionale di una comunicazione.
Si prendano come esempio le foto che compaiono su quotidiani o rotocalchi che spesso rappresentano il nostro vissuto quotidiano: queste captano abbastanza blandamente la nostra attenzione. Sono troppo coincidenti con il nostro vissuto.
Una foto di guerra, magari cruenta, potrebbe produrre uno scarico di energia emotiva più elevata nel percipiente, proprio in quanto il proprio vissuto potrebbe non essere coincidente con il contesto del soggetto rappresentato. In tale foto si potrebbe percepire l’intento razionale e logico di denuncia della guerra, per esempio, del fotografo.
Se poi una foto “artistica” dovesse rappresentare soggetti umani raffigurati in posa particolare e prestabilita, l’osservatore potrebbe coglierne, oltre l’aspetto logico, anche inconsciamente quello emotivo analogico, magari la simbologia archetipica delle posizioni dei corpi, le evocazioni subliminali del gioco di ombre, tensioni e pulsioni di vario genere, ecc.
Immaginiamo invece la foto di una donna che raccoglie pomodori per terra ai mercati generali. Tale foto potrebbe essere collocata dal percipiente come rappresentativa dell’ordinaria quotidianità metropolitana in cui ognuno di noi è immerso e la tensione emotiva che ne scaturisce potrebbe risultare relativamente bassa, ma nel contempo è basso anche il tasso di riconoscibilità del simbolo e la sua valenza logica.
Il percipiente si riconosce in tale quotidianità, riconosce il proprio ambiente che considera come vissuto ordinario e accettato a livello subliminale (anche se alienante).
In questo caso il percipiente, non riconosce l’autore della foto come artista, non ne riconosce sufficientemente la valenza della volontà comunicativa e l’energia emotiva per decodificare l’immagine è minore, sia in quanto non viene riconosciuto sufficientemente lo sforzo creativo del soggetto produttore dell’immagine, e sia in quanto l’immagine non evoca richiami archetipici emozionali in grado di produrre energie emotive, proprio in quanto troppo coincidenti con il vissuto e l’ambiente da cui proviene il percipiente.
In tal caso la valenza del simbolo (la fotografia) è relegata a mera riproduzione del vissuto comunemente accettato, anche a livello inconscio, dal percipiente. L’energia emozionale prodotta potrebbe essere piuttosto bassa se il soggetto è solito vivere la realtà cittadina urbana, mentre potrebbe essere più elevata in un soggetto che viva una realtà completamente avulsa dalla cruda esistenza metropolitana.
Il soggetto Dipinto
Se invece si prende in considerazione un dipinto che raffigura realisticamente il medesimo soggetto della fotografia (per esempio sempre una donna che raccoglie rimanenze ortofrutticole in un mercato metropolitano), la tensione emotiva da parte del percipiente potrebbe aumentare notevolmente.
Egli per prima cosa amplifica il riconoscimento e l’esistenza di un comunicatore, l’autore dell’opera. Riconosce l’esistenza del messaggio logico che il comunicatore esprime e ne avvia il processo di decodificazione. Il messaggio decodificato potrebbe essere l’evidenziazione di una condizione alienante della civiltà metropolitana che relega ai margini della società alcuni suoi membri e li costringe a vivere di scarti alimentari.
Poi l’osservatore analizza e misura il tempo dedicato alla costruzione del simbolo e la qualità rappresentativa di realizzazione parametrandola con la personale esperienza sensoriale del rappresentato, valuta il livello di corrispondenza tra simbolo e realtà percepita.
Maggiore è la corrispondenza, minore è il conflitto emotivo. Infine, l’osservatore di tale raffigurazione coglie (in modo amplificato grazie al riconoscimento dell’immagine come simbolo deputato a comunicare un contenuto) inconsciamente tutti gli aspetti della comunicazione simbolico – analogica ed emotiva: posizione della figura, prostrazione, solitudine, emarginazione, fame, degrado, ecc. che a loro volta producono energie psichiche di vario genere.
Tali energie sono sempre parametrate all’esperienza cognitiva ed empirica pregressa del soggetto: le forme di energia emotiva infatti si amplificano anche in base al bagaglio culturale, all’esperienza, al costrutto morale (super-io), al senso di identità, alle pulsioni varie del recettore. Potrebbero innescarsi inconsapevoli reazioni emotive legate a senso di colpa, al contrasto verso il tentativo di rimozione adottato nella quotidianità (indifferenza nel vissuto quotidiano), al possibile senso di identificazione con il rappresentato o la condivisione del messaggio logico espresso dall’autore.
Psiche, Energie e Decodifica
Insomma, tante energie psichiche che si sprigionano partendo sia dalla decodificazione logica del messaggio visivo figurativo e sia dalla captazione del messaggio subliminale ed emotivo di tipo analogico.
Supponiamo adesso che si osservi un quadro di Rothko o di Pollock. In questo caso l’osservatore, soprattutto se caricato preventivamente in termini di aspettative da apposite recensioni o da critiche atte a promuovere le opere, si attende dagli autori una rappresentazione a cui attribuire inizialmente un significato logico razionale.
In pratica la parte logica dell’osservatore non considera possibile che l’autore non abbia voluto comunicare assolutamente nulla attraverso la propria rappresentazione. La prima energia dell’osservatore è pertanto convogliata nella ricerca del significato esplicito, logico e razionale insito nell’opera.
A questo punto, non trovandolo in forma esplicita e non percependo alcuno sforzo rappresentativo simbolico figurativo logico da parte dell’artista, non trovando neanche una corrispondenza tra simbolo e realtà percepita, l’osservatore è sottoposto ad un cortocircuito emotivo prodotto dall’impossibilità razionale di attribuire un significato all’opera.
“Disegnare non è ciò che si vede, ma ciò che si può far vedere agli altri”
Edgar Degas
Tali energie che non si catalizzano nella comprensione razionale si riversano così nell’interpretazione soggettiva: questa tende, attraverso un percorso esperienziale del tutto individuale e ad un riadattamento del simbolo alla percezione soggettiva dell’esistente, alla attribuzione di significati possibili attingendo dal proprio universo psichico e sensoriale.
In ogni caso il dispendio di energie atte a compensare la mancata comprensione logica produce comunque uno stress psichico abbinato ad una sensazione di rifiuto, sgradevolezza, di esperienza dolorosa. Tante energie emotive per decodificare un messaggio in chiave logica.
Logico e Ana-Logico
Tuttavia, anche in questo caso, i simboli esplicitati dalla rappresentazione, molto più primordiali e archetipici rispetto ad un quadro figurativo e che agiscono anche in termini analogici, sollecitano i recettori emotivi individuali.
A parte casi di autosuggestione dovuti alle pressioni ambientali che possono indurre corto circuiti emozionali o crisi di identità o forme di compensazione del senso di inadeguatezza, gli stimoli provenienti dall’opera, poveri sia in senso logico e sia in senso analogico, rappresentano una comunicazione povera che non conduce ad alcuna seduzione dell’osservatore percipiente.
Ciò nonostante, si può raggiungere una decodificazione compensativa (che agisce a vari livelli della psiche) che può comportare comunque quel piacere derivato dall’annullamento delle energie scatenate dalla mancata comprensione razionale dell’opera.
Non è un caso che esistano svariati estimatori ti tali opere i quali, emozionati e presi da convulsioni e svenimenti, decodificano soggettivamente l’esperienza visiva disinnescando il corto circuito prodotto dall’incomprensibilità in termini logici del simbolo.
Il Gioco delle Energie
Tale gioco di energie è assimilabile a quello che avviene nel motto di spirito, quando a seguito di una sequenza logica di eventi o fatti narrati viene inserito inaspettatamente un evento che altera l’ordine abituale di tale sequenza e tale evento, decodificato nel nuovo ordine, scatena quell’energia che si era accumulata nel processo narrativo proprio nel momento in cui avviene la decodificazione. Se tale decodificazione non avviene, non viene liberata o annullata nessuna energia e subentra il senso di frustrazione.
Narrazione ed Emozione
Se osserva un quadro di George Grosz, ripercorrendo la fase logico interpretativa già descritta, l’osservatore riconosce dapprima la valenza costruttiva del simbolo attuata dall’autore, la rapporta al vissuto esperienziale e storico della realtà soggettiva percepita, poi ne coglie il senso razionale, il significato che l’autore ha voluto esprimere.
Questo avviene sia incarnandone e condividendone il significato, sia qualora lo disapprovi; ma sempre comprendendo l’intento comunicativo logico dell’autore stesso (il grottesco, la visione distorta della società contemporanea, i disvalori dileggiati della borghesia guerrafondaia, ecc.).
Ma anche nel caso di mancata condivisione o approvazione del messaggio comunicativo logico, l’osservatore ne decodifica comunque in termini logici la portata, si identifica con l’oggetto della comunicazione e ne vive comunque un’esperienza diretta. La tensione emotiva a livello logico rimane bassa in quanto la comprensione è alta.
Così come avviene durante un dialogo tra soggetti diversi e con opinioni diverse, in cui vengono chiaramente verbalmente espressi e compresi dei concetti e nel contempo vengono catapultati messaggi simbolici analogici che colpiscono l’interlocutore a livello emotivo ed in profondità.
L’esperienza è comunque ricca ed intensa, le energie scatenate sono parecchie e multiformi, la riflessione logica viene deliberatamente comparata col vissuto esperienziale individuale, ma nel contempo è accompagnata da molteplici ulteriori stimoli analogici di tipo emotivo che colpiscono l’osservatore da svariati punti ed angolazioni provenienti dalla multiformità della rappresentazione pittorica.
Il bello probabilmente, e il suo senso, è racchiuso nella rassicurazione logica che il simbolo produce nella sua configurazione e rispondenza al vissuto e alla personale percezione del reale e nella forza e varietà delle energie che vengono scatenate da tale espressione simbolica comunicativa in senso analogico.
La Compensazione Logica
Emozionarsi di fronte ad un quadro di Rothko è compensazione logica, isterica soluzione individuale di un corto circuito logico penalizzante abbinato ad una scarsa e scarna attività simbolica analogica a bassa interazione energetica; emozionarsi di fronte ad un Caravaggio è riconoscimento, appartenenza, comprensione logica del linguaggio simbolico che comporta gratificante identificazione, a livello razionale, sia nel significante e sia nel significato e che non richiede alcuna attività compensativa di carattere psichico; il tutto abbinato inversamente a molteplici segnali analogici ad alto tasso di energia emotiva.
Quando l’Io Logico è gratificato dalla bassa tensione emotiva e l’inconscio gratificato dall’alta tensione emotiva analogica si consegue quel piacere estetico derivato dall’interazione tra comunicatore e recettore.
Così come fa dire Goethe al suo Faust: fermati, attimo, sei bello!
«All'attimo direi:
sei così bello, fermati!
Gli evi non potranno cancellare
l'orma dei miei giorni terreni.
Presentendo una gioia tanto grande,
io godo ora l'attimo supremo.»
Articolo di Pierluigi Impedovo