Prima di entrare nel vivo dell’articolo, ecco una nota sulle immagini che abbiamo inserito a commento del testo: esse ritraggono l’Ephesteion, tempio dorico dedicato ad Efesto, tra i templi greci quello che dall’antichità si è conservato più integralmente. Sono infatti visibili nella loro forma e funzione pressoché ognuna delle parti costitutive in pietra: colonne, trabeazioni, fregi, soffitti cassettonati, mura della cella, ecc. Le foto, per lo più frutto dell’occhio attento dell’architetto che le ha scattate, lasciano perfettamente trasparire quanto l’opera si imponga silenziosamente al nostro sguardo con la sua presenza, frutto di quel sommo sapere artistico che plasma lo spazio in modo che l’uomo possa entrarvi, interagire e compiere gesti significanti. Architettura è il nome di questa Arte, tanto potente da trasformare la realtà ad essa preesistente per conferirgli un senso che sia manifestazione tridimensionale del pensiero umano. Pensare e costruire una forma in un luogo specifico, che con elementi verticali, orizzontali e altri, distingua un fuori da un dentro, e col proprio linguaggio spaziale, che travalica la materia fino alla metafisica, induca articolati sistemi di comportamento tali da definire storicamente intere civiltà, non è infatti oltre che un’Arte, la più determinante tra le Arti stesse?
Non è forse vero che nel concetto di Arte espresso dalla cultura occidentale è data per scontata una idea di progresso che si realizza lungo una direttrice di tempo lineare?
Ossia un succedersi di conquiste sul fronte dell’esperienza, del sapere, del gusto, che porta la coscienza individuale e collettiva ad evolvere, arricchendosi e raffinandosi sia nella percezione che nella elaborazione di quanto viene percepito.
Secondo questo modello, all’inizio della linea evolutiva vi furono i nostri antenati, capaci di azioni primitive, mentre allo stato attuale vi saremmo noi, molto più evoluti di loro, per quanto incappati lungo la Storia in errori, digressioni e catastrofi.
In breve secondo gli storici lo sviluppo dell’Arte, al pari dello sviluppo della Società che essa rispecchia, avrebbe in ogni caso reso la situazione attuale più PROGREDITA di tutte le precedenti.
L’enfasi con cui questa convinzione è ribadita in tutti i canali ed ambiti, dalla scuola al dibattito culturale, dalla pubblicità al giornalismo, dalla cerchia familiare fino alle reti sociali, la rende un presupposto intoccabile della cultura in cui viviamo.
L’idea che passa è : “Per quanto imperfetta, questa è la migliore società oggi possibile”. E l’Arte che essa esprime, come diretta conseguenza dell’evoluzione della società, è comunque se non la migliore, infinitamente più evoluta delle precedenti.
- Ma è davvero così, senza il benché minimo dubbio?
- Sono solo “nostalgici” coloro che giudicano più evolute epoche passate, laddove ve ne siano i presupposti, o sono invece osservatori dalla visione più ampia?
- Si possono cioè considerare civiltà del passato anche molto più PROGREDITE della nostra, semplicemente utilizzando differenti modelli di valutazione?
Innanzitutto se smettiamo di dare per scontato il modello evolutivo lineare per contemplarne più verosimili alternative circolari o cicliche, possiamo inquadrare con maggior precisione fenomeni altrimenti inspiegabili.
Come per esempio quelli di manufatti in pietra antichi, grandi fino ad interi insediamenti, che con le tecnologie attuali NON sarebbero realizzabili e collocabili in sito. Sul web vi è ormai vasta letteratura in merito, facilmente reperibile.
Mettiamo quindi alla prova il livello di progresso della nostra civiltà, che ci descrivono così avanzata e facciamolo con la cosiddetta Scala di Kardašëv, nata dall’astronomo russo Nikolaj Kardašëv che per primo la definì ed impiegò a tale scopo.
Vedremo che siamo all’estremo inferiore, ossia neppure una civiltà di TIPO 1, dal momento che non abbiamo le conoscenze minime per controllare l’energia presente sul nostro pianeta.
Vale a dire che la realtà in cui viviamo, che ci viene presentata come avanzata, tecnologica ed efficiente, vista col dovuto distacco appare più distorta e insostenibile di epoche passate che, tra l’altro, non sono databili nel tempo con assoluta certezza.
Conoscere non basta, dobbiamo applicare. Volere non basta, dobbiamo fare.
Johann wolfgang von Goethe
La nostra civiltà produce vestigia di sé che non reggono in alcun modo il confronto con quelle lasciate dal passato arcaico, avendo come valori fondanti la redditività, la velocità e l’apparenza.
Valori che portano gli uomini a costruire il proprio habitat – edifici simbolici inclusi – in tempi rapidi, per conseguire il risultato di profitto prima possibile. Ma per subire poi una altrettanto rapida e pressoché completa disgregazione di quanto realizzato.
Per l’ansia di estremizzare il nostro sviluppo, stiamo virtualizzando la realtà in modo esponenziale, senza bilanciare tale spinta con realizzazioni fatte di materia, ma nate da intenti non materialistici, come ad esempio il tempio qui raffigurato.
Le realtà sempre più immateriali e digitalizzate che la tecnologia genera oggi sono prive in sé di quella spiritualità che dovrebbero necessariamente possedere se intendessero rappresentare un valore che supera la prova del tempo.
Insomma l’oggetto che vediamo in queste immagini, per quanto antico di un indefinito numero di secoli, è da considerarsi un esempio di perfezione formale e funzionale della tecnologia di costruzione in pietra, tuttora attuale.
Tanto che se volessimo realmente tentare di migliorarlo, entrando nella sua complessità, per dire che oggi “possiamo fare di più” finiremmo per copiarlo, poiché per migliorarlo autenticamente, dovremmo migliorare l’intera civiltà che nelle sue forme si rispecchia.
E farlo rispettando i tempi e i modi che ogni conoscenza costruttiva prescrive: vi sono pareti costruite dai romani con una mescola di calce che impiegava fino a 50 anni per completare la presa, ma poi vantava una durezza a prova di millennio.
La condizione per immaginare uno scatto evolutivo dell’Arte è prima di tutto accettare l’idea che ci troviamo in una fase di evidente involuzione socio-culturale: ossia una deviazione regressiva dal cammino di sviluppo organico della nostra civiltà.
Deviazione che è recuperabile solo nel momento in cui una sufficiente massa di pubblico cessa di subire la fascinazione del sistema mediatico-culturale che oggi scrive stringhe di programma direttamente dentro il nostro apparato percettivo.
3 comments
Caro amico, ma che l’arte non sia legata tanto ad un atto evolutivo quanto ad un processo di continua “trasformazione” è ormai chiaro da tempo! Nel Novecento si è usato questo infausto sostantivo (evoluzione) solo per giustificare la palese degenerazione della stessa in funzione di una disgregazione della forma, con una totalitaria e avida preponderanza del “contenuto” . Ma la vera arte è un sublime equilibrio, come spiega Egel, di Forma e Contenuto…
Se è chiaro, lo è a pochi. E poi, la natura non trasforma semplicemente per trasformare, ma per rendere sempre più sublime proprio quell’equilibrio di cui giustamente dici.
Caro Antonio ho letto con attenzione il tuo articolo e vorrei fare alcune considerazioni sulla durata delle costruzioni e sui cambiamenti in atto.
In ogni epoca gli spazi dell’architettura si sono venuti a configurare e trasformare secondo l’importanza che l’uomo del passato conferiva ai vari manufatti seguendo “regole” e i saperi appresi in linea con le nuove scoperte e tecniche di lavorazione. Più un edificio poteva caricarsi di valori simbolici e religiosi, maggiore attenzione veniva assegnata alla sua costruzione che doveva durare il più a lungo possibile nel tempo ( vedi ad es.il Partenone e il Panteon). Negli ultimi due secoli dominati dalla tecnica e dalle nuove scoperte che ci stanno indirizzando verso un nuovo “Postumanesimo ” lo spazio dell’abitare orientato verso la cibernetica e dalla caotica urbanistica che lo ha ridisegnato, dal movimento “Razionalista” in avanti ha spazzato via tutte quelle sovrastrutture e ornamentazioni che che potevano contenere alcuni valori etico- sacralità e contenplativi per fare posto ad una generalizzata “semplificazione della forma ” e dello spazio generato da essa , inseguendo le trasformazioni e contraddizioni di una società perlopiù superficiale , accelerata nei cambiamenti e dominata dal consumismo più sfrenato dove non conta più la durata nel tempo di ogni manufatto ma prevale la monetizzazione immediata e la rendita in un mercato sempre più globalizzato
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