In assoluto nessuna tecnica di disegno è tanto emozionante quanto quella denominata alla francese “Trois Crayons” ossia a tre pastelli. Nulla può davvero paragonarvisi, poiché per come è strutturata, essa porta inevitabilmente in sé qualcosa che appare ai nostri sensi come una specie di magia.
Prima di entrare nel dettaglio, vediamo nel video che preparammo ancora anni fa una carrellata di capolavori realizzati in questo modo, ad aprire la quale vi è un’opera particolarmente affascinante che è stata attribuita a Leonardo da Vinci, ossia “La Bella Principessa” conosciuta anche come “Ritratto di Bianca Sforza”.
La “magia” a cui danno origine i disegni a tre pastelli deriva dalle caratteristiche percettive dell’occhio umano: pur essendo realizzati con un solo colore, di fatto, ossia la sanguigna, più il bianco e il nero, l’opera finita suggerisce l’impressione di possedere tutta la gamma cromatica.
La suggerisce all’occhio, non la dà apertamente. Perché se davvero andiamo a cercare i i toni verdi vividi, i viola, i bleu profondi, non li troviamo, ma ne troviamo solo tonalità appena accennate grazie all’effetto ottico dato dal cosiddetto contrasto dei colori complementari, uno dei sette contrasti cromatici che Iohannes Itten studiò negli anni del Bauhaus, e definì nel suo fondamentale saggio l’Arte del Colore.
Ma non solo: perché la magia accada è necessario che il supporto abbia un suo colore proprio, che combinandosi con i toni rossi della sanguigna dia luogo alla gamma cromatica consequenziale. Nel caso in cui il supporto del disegno a trois crayons sia la carta, a seconda che essa abbia il colore gialletto naturale della fibra di cotone, oppure di altri toni ricavati per tintura, rossi, bruni, bluastri, sabbia, l’intonazione e l’effetto finale possono variare notevolmente.
Ma vediamo da vicino il “ritratto di Bianca Sforza” in questa immagine del totale. Si tratta di una opera delle dimensioni di cm 23.9×33.
Fondamentale perché si crei nell’occhio dello spettatore l’effetto sorprendente della tecnica a trois crayons è la scelta del supporto: in questo caso infatti l’opera è stata eseguita su vellum, ossia finissima pergamena, applicata su tavola lignea.
La luminosa tonalità gialla della pergamena è infatti il colore di fondo più adatto perché si dispieghi nel modo più spettacolare il risultato. Le tonalità degli incarnati, nelle quali le alte luci vengono ricavate velando il supporto con il bianco, le ombre velando con il nero, e la coloritura, evidente in particolare sullo zigomo, con il rosso della sanguigna.
Non vogliamo entrare diffusamente in questa sede nelle questioni di attribuzione a Leonardo di cui si è lungamente discusso e che troviamo riassunte in questo saggio, ci limitiamo a sottolineare da un lato che vari esperti di indiscusso nome e prestigio propendono per la paternità leonardesca, dall’altro che, nelle uniche parti ornate di un abbigliamento molto essenziale della giovane ritratta di profilo, e nella sua acconciatura dei capelli, di moda all’epoca, si trovano evidenti corrispondenze con le forme degli intrecci di vegetazione che ritroviamo sul soffitto della famosa Sala delle Asse, che Leonardo decorò a trompe l’oeil proprio per l’uomo più in vista della stessa potente famiglia di Bianca Sforza, ossia per Ludovico (detto “il Moro”) Duca di Milano, all’interno del Castello Sforzesco.
Leonardo amava le rappresentazioni labirintiche dei nodi (i vinci, ossia vincoli), al punto da farne un portato peculiare di molte sue opere, quasi una sua firma. Ne disegnò vari, come proprio sigillo in tavole ora conservate alla Biblioteca Ambrosiana.
Anzi potremmo dire che quella per gli intricati motivi geometrici era una ossessiva fascinazione matematica che lo portava ad usare quel linguaggio di potente simbolismo intrinseco anche dovendo restituire forme naturalistiche.
Guardiamo infatti da vicino un’altra celeberrima opera del maestro, il Ritratto di Ginevra de Benci, tributo alla pittura nordica, più cristallino e definito nei contorni e diafano negli incarnati rispetto ad altre sue opere, scrutandone i più minuti dettagli in questa immagine a massima risoluzione.
Il dipinto, che è stato decurtato nella parte bassa, nella quale dovevano essere in origine mostrate le braccia e le mani, presenta dettagli di incredibile finezza nei quali sia i riccioli di capelli biondi che l’intrico della vegetazione di sfondo – i rami di Ginepro che alludono al nome di Ginevra – sono dipinti con toni bruni e dorati quasi fossero motivi astratti disposti in un ordine ultraterreno anziché sciolte forme di natura.
Ma torniamo a Bianca Sforza ed all’incredibile risultato ottenuto con l’uso dei tre pastelli. Osserviamo anche qui l’opera da molto vicino, in questa immagine a massima risoluzione, e noteremo due dettagli fondamentali: che le linee di contorno del profilo sono tracciate con un sottile segno a penna scuro, e che le tonalità siano ottenute sovrapponendo un minuto tratteggio che pare tracciato da una mano mancina.
Soprattutto evidente in tutta la zona che enfatizza la linea di profilo dell’incarnato dal petto sino alla fronte, tratteggio dove le linee sono molto fitte e regolari, perfettamente parallele, orientate obliquamente e sfumate dal nulla di sfondo al massimo in prossimità della linea di profilo.
Anche i capelli della giovane sono praticamente definiti uno ad uno con sottili ed ondulati tratti di penna color bruno, e quindi tonalizzati con una sfumatura graduale dalle alte luci dorate sulla fronte al quasi nero al di sotto dell’orecchio, nascosto dalle ciocche laterali.
La lunga coda, raccolta nella parte alta della nuca da un intreccio di rete, e sulla lunghezza da nastri intrecciati, è un trionfo di nodi vinciani, sia nei dettagli medi che nei più minuti, ottenuto anche in questo caso con il tracciato a penna delle diverse forme e con la campitura sfumata a pastello dei chiari e degli scuri.
Il risultato è probabilmente uno dei migliori, più rappresentativi e rifiniti esempi di disegno con la tecnica a Trois Crayons.
In questo caso la granitura del pastello non è visibile, sia per il tipo di supporto, la pergamena, che ha una superficie meno abrasiva della carta e che ha richiesto campiture effettuate come già detto mediante un finissimo tratteggio poi acquerellato in particolare nelle aree più chiare.
Il fascino della tessitura materica quindi non è dato dal depositarsi dell’argilla sulle asperità delle fibre della carta, che si verifica sfregandovi la punta costantemente affilata del pastello.
Ma dall’insistito tratteggio obliquo, per lo più regolare nell’orientamento, che attrae l’occhio dentro il tessuto di finissimi segni, intrappolandolo a percorrere i meandri di un colore mai uguale a sé stesso e che per minime differenze definisce volumi con precisione da gioielliere, velandoli al contempo con l’irresistibile foschia dello sfumato per il quale si tributa a Leonardo il posto tra i sommi artisti di sempre.