Da uno Studio Iconografico del Museo Dell’oro Di Colombia, e dalla collezione Barbier-Mueller Ori d’Africa.
Ci sono oggetti che realizzano il Miracolo di aprire porte remote della Storia Umana. Il ruolo determinante dello Sciamano, e il sorprendente intorno magico-religioso in cui si inscrivono le sue funzioni, nelle comunità arcaiche di tutto il Pianeta, ci narrano una storia complessa e affascinante, scritta in oro da Maestri Orafi aborigeni, che forgiavano pezzi ad uso rituale, ma anche dettagli ornamentali, a guarnizione di oggetti di uso comune.Sulla oreficeria precolombiana esiste già una nutrita bibliografia, poiché da decadi il Museo del Oro di Colombia, organizza esposizioni itineranti, per promuovere una cultura nativa, misteriosa e dimenticata. Un altro prezioso contributo, relativo invece alla Cultura Orafa sub-sahariana occidentale, proviene dalla Collezione Barbier-Mueller, anch’essa promotrice di Mostre itineranti da cui estrapoliamo parti di uno dei cataloghi.
GLI ORI DELLA COLOMBIA
Secondo gli Indios attuali, c’è una relazione di reciprocità tra il Sole e l’Oro, tra i quali, si instaura una connessione energetica. Gli Indios de la Sierra Nevada di Santa Marta hanno potuto salvare, attraverso mezzo millennio, oggetti d’oro dei propri Antenati « Los taironas ». In alcuni momenti dell’anno, quando il sole si trova in determinate posizioni astronomiche, si procede, in un luogo sacro, alla celebrazione del rituale dell’insolazione dell’oro. Quegli oggetti, aggregati a quarzi o pietre preziose/semipreziose o laviche, vengono depositati su grandi piatti rituali di giunco intrecciato e posizionati per l’irraggiamento dove rimangono un tempo esposti alla luce solare.
Gli Indios affermano che in questo modo l’oro assimili una nuova forza generatrice, che purifica, rinnova il suo splendore e gratifica l’Astro Maestro, il quale si mostra compiaciuto del buon utilizzo del Potere Benefico.
Nella stessa regione di Santa Marta sopravvive la credenza che il Sole possa direttamente fertilizzare un oggetto d’oro che sia stato collocato in uno spazio dedicato, dove da un orifizio sul tetto entra un raggio puntuale ad una determinata ora con un determinato intento. A questo tipo di raggio, si attribuisce la qualità di un fallo divino che, illuminando l’oro, lo impregna di una energia di cui beneficia tutta la comunità.
LA COSMOVISIONE SCIAMANICA.
Il primo passo per apprezzare il significato dell’oro precolombiano in un contesto socio-religioso, consiste nel ricostruire la cosmo-visione dello sciamano. Sebbene con molte varianti spazio-temporali , ci mostra una costante certa del pensiero sciamanico, le cui radici affondano in un passato remoto. Lo sciamanesimo e’ un sistema coerente di credenze, mescolato alla pratica religiosa-cerimoniale, che cerca di spiegare e organizzare, l’interrelazione tra il Cosmo, la Natura, e l’Uomo. Il ruolo che l’uomo ricopre, all’interno del ciclo della Natura, è parte fondamentale dell’esperienza visionaria che, avendo una base neurofisiologica comune, è piuttosto plausibile. In altre parole, gli infiniti mondi del nostro caro Giordano Bruno, sono visitabili da chi sa muoversi tra le linee temporali. Dalla preistoria.
GLI ORI D’AFRICA
L’Oro dell’Africa Occidentale proviene da molte località sparse nella foresta e nella Savana.
Si trova in Natura in rocce, sabbia e ghiaie di fiume quarzifere.La maggior parte ha forma di granelli e particelle minuscole, ma si trovano anche delle pepite.
L’incessante azione delle tempeste tropicali e delle rapide dei fiumi, nel corso di milioni di anni, ha avuto l’effetto di disperdere enormi quantità di polvere d’oro in un’area molto vasta. Ci sono estesi terreni alluvionali e in alcuni punti, dopo la pioggia, si possono scorgere alcuni granì che luccicano nel terreno.
Le tre zone aurifère più importanti sono: Bambuk, situata tra i fiumi Senegal e Faleme; Bure intorno al Niger Superiore e ai suoi tributari; e la regione di Akan nel Ghana insieme alle zone limitrofe della Costa d’Avorio. Gli abitanti di queste zone erano probabilmente coscienti della presenza dell’oro sin dalla preistoria. Le pepite ben visibili, non passavano inosservate quando la terra veniva lavata dalle forti piogge. A volte erano dissotterrate dagli agricoltori o ritrovate nella ghiaia dei fiumi. Le zone aurifère di più facile accesso, quelle di Bambuk e di Bure, sono state le prime ad essere lavorate, forse a partire dal quarto secolo dopo Cristo e per i successivi mille anni. Tutto l’oro del commercio con il nord Africa proviene da questa regione.
Quando gli arabi invasero il Nord Africa, nel VII secolo, si accorsero presto che al di là del deserto c’era molto oro. Le notizie dei ricchi regni del Sahel (l’antico Ghana e Takrur), dove si commerciava l’oro, divenne presto leggenda. Le miniere di Bambuk e di Bure erano ancora più a sud e i re del Sahel stavano ben attenti a non rivelarne l’ubicazione agli stranieri. Perfino le più ricche miniere di Akan restarono sconosciute al mondo esterno fin verso il XIV secolo.
Tra la fitta foresta di Akan e i centri commerciali del medio Niger, c’era una vasta distesa di savana inospitale da cui gruppi di agricoltori e cacciatori riuscivano a malapena a trarre il necessario per una esistenza precaria.
Per secoli, queste popolazioni del Volta, furono alla mercé delle spedizioni che partivano dal Sahel a caccia di schiavi: agli occhi dei musulmani, erano infedeli che potevano essere uccisi o schiavizzati senza problemi. Per queste circostanze i mercanti del Sahel furono lenti a stabilire rotte commerciali nella savana del Volta.
Fu solo nel XIV circa che riuscirono a stabilire ed estendere i contatti commerciali tanto a sud da arrivare alle terre degli Akan.
Sopra: Coronamenti zoomorfi per ‘Bastoni da Poliglotta’ , generalmente in legno intagliato, rivestito il lamina d’oro (Ghana – Akan). Gli Adiukru della Costa d’Avorio Meridionale, ostentano gli ori di famiglia nel corso della “Festa della Generazione’.
Sotto: I gioielli provengono per lo più dal commercio con il Ghana. In basso : anelli, decorazioni per i capelli, pettorali rituali dalle foto di Jean Paul Barbier 1988.
GLI ORAFI E LA LORO TECNOLOGIA
Storici ed antropologi hanno esaminato le tecniche di lavorazione dell’oro e l’organizzazione della categoria, ma si tratta di studi etnografici sul presente e non si può assumere con tanta leggerezza che l’arte orafa sia rimasta immutata per generazioni.
Gli europei che si recarono in Africa Occidentale, a volte, conobbero gli orafi.
David, che esplorò i giacimenti di Bambuk nel 1744, lasciò solo quanto segue: « Questi Fabbri sono anche gli orafi del paese: gli arnesi che possiedono sono una sorta di fornelletto di terracotta, un mantice e due Martelli, uno piccolo e uno grande. Con quello piccolo lavorano l’oro a freddo e ne traggono gingilli insieme delicati e sorprendenti ».
Scrivendo della stessa regione, nel 1720 Padre Labat scriveva: « fra questi Fabbri di utensili, ci sono orafi, coltellinai, spadai, e ottonai. Uniscono in un solo gruppo tutti gli artigiani che usano martello e incudine. Non hanno fucine o botteghe, lavorano sotto gli alberi, vicino alle proprie case. I loro attrezzi consistono in una piccola incudine, una pelle di capra che serve da mantice, qualche martello, un paio di tenaglie, due o tre lime….. Stanno sempre seduti chiacchierando e fumando in continuazione. Non sono mai meno di tre a lavorare insieme: uno tiene vivo il fuoco usando il mantice fatto con una pelle di pecora tagliata in due, o con due pelli cucite insieme e chiuse in fondo, tranne che per un beccuccio in ferro o rame. L’uomo che soffia sul fuoco siede dietro il mantice e lo schiaccia alternativamente con gomiti e ginocchia….in questo modo, realizzano pezzi di bravura, in oro o argento. Specie quelli oggetti di varie forme, chiamati manillas che le donne usano per ornarsi mani, capelli, o come collane o bracciali ».
Quest’ultima scena, dell’uomo che soffia sul fuoco, si è impressa nella mia mente come se l’avessi condivisa con Padre Labat al momento del racconto. L’uomo che soffia sul fuoco, che crea cose straordinarie con quello che ha, nel punto esatto in cui si trova, è dentro ad ognuno di noi. Simbolicamente è la nostra capacità di mantenere accesa la nostra scintilla divina, di rafforzare il contatto con la nostra parte intuitiva e creativa che mai e poi mai è clonabile da una macchina.
Non è necessario possedere un oggetto in oro per essere L’Uomo che soffia sul fuoco è sufficiente riconoscere che noi, siamo oro.
Se poi possedete un oggetto in oro particolarmente caro, usatelo, caricatelo al Sole, bagnatelo nel mare, e portatelo nei punti dove “sentite” che la sua frequenza, aiuta a rinforzare la vostra. Come nuove fiamme di antichi fuochi.
L’Uomo che soffia sul Fuoco, sa attraversare i Mondi, e usare l’Oro come Medicina
Si ringraziano:
Villegas Editores : ORFEBRERIA Y CHAMANISMO_Gerardo Reichel-Dolmatoff
Museo del Oro del Banco de la Republica, Colombia
La Rinascente, Milano : ORI D’AFRICA, Gioielli e ornamenti della Collezione
Barbier-Mueller – Museo Barbier-Mueller , Ginevra