Ciò che è diventata oggi la pratica del Restauro è la conseguenza dell’entrata in scena dell’arte contemporanea nei decenni scorsi. Infatti l’ampio uso di tecniche sperimentali nella realizzazione delle opere, ha decretato un loro generale decadimento molto più rapido che in passato, fenomeno che ha portato anche a casi di assoluta irrecuperabilità dei manufatti.
In effetti non è che il tema di come le opere d’arte vengono realizzate investa semplicemente i conseguenti aspetti di restauro. Semmai meglio dire che le problematiche di restauro che si sono create sono un sintomo e una conferma che il problema abbraccia l’intero concetto dell’Opera d’Arte e della pratica artistica.
Proviamo infatti a pensare ad alcuni esempi limite, che hanno letteralmente posto il problema in termini estremi, ancora decenni fa: Josef Beuys, artista concettuale, realizzò varie opere impiegando il burro, come quella di seguito raffigurata.
Apparve in breve con evidenza che data la deperibilità del materiale, esso andava periodicamente sostituito perché rancido. E i titolari delle istituzioni museali si trovarono di fronte al problema dell’originalità integrale dell’opera una volta che la parte deperibile fosse sostituita e ricreata da altri che non l’autore.
Oltre ad un problema di fondo che riguarda il senso di realizzare opere d’arte programmaticamente deperibili a media scadenza, senza essere intenzionalmente effimere come i mandala di sabbia tibetani.
Il principio dell’Arte autentica non è ritrarre, ma evocare.
Jerzy Kosinski
Anche più di recente vi sono stati casi eclatanti che hanno riproposto il problema della deperibilità/originalità dell’opera, aggravato dalla componente finanziaria che, attraverso la promozione di opere realizzate con tecniche sperimentali, ha spinto la quotazione di vendita a livelli milionari.
L’artista inglese Damien Hirst, che nei primi anni novanta conquistò la ribalta mondiale con la serie di opere “The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living ” costituite da squali imbalsamati in teche ripiene di formaldeide, all’inizio non aveva ancora pieno controllo del processo di realizzazione.
Dopo aver comperato per 6000 sterline ed essersi fatto spedire a Londra da un pescatore australiano uno squalo appena pescato, lo mise con i suoi collaboratori in una grande teca di formaldeide e, grazie alla promozione, venne quotato milioni.
Già nel 1992, a distanza di un anno dalla realizzazione, lo squalo era raggrinzito, verdastro ed aveva perso una pinna. A poco servirono poi i tentativi di recupero, che alla fine terminarono con la sostituzione della parte principale dell’opera, lo squalo, con un nuovo esemplare ed un più perfezionato sistema di conservazione.
Ma cosa rimane dell’opera originale, in quel caso? Chiaramente la teca e la formaldeide sono supporti, l’opera ha nell’animale morto la parte centrale.
Certo, si può dire che la visione vale i milioni a cui l’opera è stata quotata e venduta. Tuttavia il discorso non si può considerare chiuso con tale rassicurazione, quando la componente di monetizzazione è così eclatante.
Di certo la realizzazione di opere d’arte impiegando metodologie collaudate da una lunga tradizione di bottega rende le opere infinitamente più durevoli nel tempo.
E le rende restaurabili, ossia riportabili all’originario splendore, in modo molto più codificato e controllabile dal restauratore che ben ne può individuare la struttura, e che ha di conseguenza strumenti e procedure collaudate per intervenire.
È ancora fresca nella memoria la sorpresa nel constatare al museo del Louvre quanto apparisse allo sguardo perfettamente integra, quasi appena terminata di dipingere, una opera pittorica come la “Donna allo specchio” di Tiziano Vecellio malgrado i 5 secoli di età. Cliccando sull’immagine si può verificare direttamente quanto sto dicendo attraverso l’osservazione di un file a risoluzione ultra-elevata.
Ossia al di là della distanza che ci separa dal linguaggio di questa rappresentazione, (gli abiti, la posa, il concetto compositivo) di essa colpisce la perizia con cui una immagine pittorica appartenente a secoli fa sia stata realizzata in modo da poter attraversare i secoli e trasmettere quanto ha da dire, imponendosi direttamente con la sua presenza materiale, a molte più persone e in molte più epoche, anziché degradarsi, smettere di esistere e di svolgere quindi la sua funzione.
Ciò fa in ogni caso riflettere, non solo sul concetto ed il ruolo del restauro come pratica di conservazione dell’Arte nel tempo, ma sulla intenzione dell’Artista di sfidare il tempo con quanto ha da dire, utilizzando il meglio – e non la novità tout court – delle procedure esecutive per concretizzare la sua idea in un’Opera.