Essendomi occupata di marketing pubblicitario e avendo compiuto un percorso orientato alla ricerca personale, sui meccanismi di funzionamento della mente umana e dei suoi condizionamenti, ho sviluppato una visione che mette in correlazione aspetti di carattere psicologico, dinamiche sociali e l’influenza mediatica.
Le dinamiche del marketing ormai vengono applicate agli ambiti più disparati anche dove non sarebbe opportuno fare speculazioni, ad esempio nella politica, nelle istituzioni e nell’Arte. Ossia dovunque possa essere attuata, legittimamente o meno, una forma di speculazione.
In questo articolo non mi interessa trattare le tecniche persuasive speculative applicate all’ambito politico e istituzionale, ma quelle applicate al mondo dell’Arte.
Cos’è successo al Mercato e alle Marche negli anni ’80?
Chi come me è nato prima degli anni ’80 ha il privilegio di ricordarsi un periodo ancora quasi del tutto privo dalla presenza delle marche, e può più facilmente osservare il condizionamento che queste hanno avuto sulla società.
Nei primi anni ’80 le marche venivano percepite come dei “corpi estranei”, che poco avevano a che fare con il prodotto. Inizialmente non si comprendeva bene quale fosse la loro funzione. In quel periodo lo sforzo delle aziende era per lo più direzionato alla produzione e alla distribuzione dei beni, sebbene esse comprendessero la necessità di essere identificate come marca. La marca veniva considerata un po’ una sorta di “garanzia di qualità”, una specie di autocertificazione basata sulla promessa di aver lavorato bene per il raggiungimento del prodotto migliore/ottimale: “il nostro prodotto è meglio”. Ancora non veniva percepito il forte moltiplicatore di valore che è la marca.1
È stato proprio nel corso degli anni ’80 che la marca ha iniziato una mutazione di ruolo, sia a livello di costruzione dei valori e del posizionamento della marca stessa che nella modalità di porsi e nel tipo di linguaggio utilizzato attraverso la pubblicità.
Dal Carosello agli Spot pubblicitari.
È qui che si inizia a insinuare nella mente delle persone il fatto che esista un reale valore aggiunto con l’acquisto del prodotto.
Valore che non deriva unicamente dal beneficio del possesso e utilizzo del prodotto in sé, ma che riqualifica la persona che ha scelto e ha potuto permettersi tale prodotto.
Sostanzialmente mentre prima si acquistava un prodotto per la sua performance funzionale e qualitativa, in seguito si è iniziato ad acquistare, non tanto il prodotto in sé, ma il benefit che si ricava da esso in quanto status symbol. Ciò ha rafforzato e sfaccettato ulteriormente le classi sociali in gruppi e sottogruppi.
Come agisce la marca.
Il lavoro sulla costruzione della marca tiene conto di numerosi aspetti che fanno sì che il suo posizionamento nel mercato sia forte. Che la sua identità e presenza muovano e si muovano di conseguenza. Ossia influenzino la società e si adeguino al cambiamento che hanno prodotto mutando, e così via, portando il pubblico ad avere sempre più un rapporto umanizzato con la marca stessa.1
Sostanzialmente i condizionamenti hanno indotto l’essere umano a compiere azioni e scelte al fine di ottenere elementi a conferma della sua posizione sociale per poter essere rivalutati. Facendo proprio il valore fasullo della manifestazione di potere economico e rinunciando al valore autentico dell’individuo, percepito come insufficiente.
Quindi la dinamica che viene attuata è:
Fare > per Avere > per Essere
Questo modello nutre il mercato consumista usando come leva la creazione di bisogni fasulli, indotti attraverso innumerevoli messaggi mirati a far sentire l’individuo inadeguato per sua natura. Da qui nasce la necessità di un vero e proprio mascheramento individuale e collettivo di cui è faticoso prendere consapevolezza.
La sana dinamica dell’essere umano è:
Sono (riconosco la mia identità autentica) > Faccio (esprimendo ciò che sono)> Ho (ottengo la conseguente posizione che mi corrisponde naturalmente).
Essere > Fare > Avere
In un sistema sociale come il nostro, scegliere di vivere e alimentare la nostra essenza, senza cedere alla trappola che ci viene offerta come una scorciatoia, è certamente segno di equilibrio e personalità forte.
Il mondo delle merci è stato monopolizzato con una comunicazione distorta che ci ha reso schiavi dell’apparire.
La marca si è svincolata dal prodotto/servizio, acquisendo sempre più il potere di definire stili di vita e proporre sistemi di valori. Ora la marca è appartenenza, riconoscimento, sicurezza.1
È difficile, specialmente per le generazioni che sono nate dopo il boom industriale, rendersi conto di quanto queste dinamiche abbiano influenzato il pensiero collettivo e quanto vengano considerate normali. La quantità di messaggi distorti disponibili ora, e somministrati fin dalla tenera età, “formano” menti che faticano a staccarsi dalla maschera protettiva che si indossa normalmente solo nel periodo adolescenziale, dove il giovane non essendo più un bambino ma nemmeno un adulto utilizza proprio la maschera degli status symbols per proteggere la sua fragilità in fase transitoria. Via via che avviene la crescita, si compie il processo di liberazione da questi surrogati, tale fase mi ricorda l’abbandono del guscio della crisalide non più necessaria all’esemplare adulto e autonomo della farfalla.
Il modello di riferimento passato dai media è di individui conformi, performanti, competitivi, funzionali e in grado di stare “nel mercato”. La richiesta di adeguamento è sempre più alta e gli status symbols costituiscono un facilitatore sociale che si sostituisce allo sforzo di ognuno di essere autentico. Si tende a confondere l’autenticità dell’individuo con il suo potere di acquisto e con le scelte estetiche e di Brand che effettua. Ci induce ad essere adolescenti cresciuti e non individui adulti e singolari.
L’arte moderna è un’area disastrata. Mai nella storia umana così tanto è stato usato da così tanti per dire così poco.
banksy
Anche settori apparentemente meno soggetti a questa dinamica sono stati contaminati da questa prepotenza, facendo delle opere d’Arte prodotti mercificabili e svilendone così le qualità e la funzione. Nel campo della musica ad esempio, i cantanti in voga sono dei veri e propri prodotti che assecondano il mercato, lo influenzano e creano la loro offerta in base alla domanda. Lo stesso fenomeno è avvenuto nel cinema, nello sport e, in modo inequivocabile, nel Design e nell’Arte.
La nascita dell’Arte moderna lo dimostra in modo eclatante. Il ruolo che hanno assunto le figure del critico d’Arte, e quelle degli altri operatori del Sistema, nonché la loro interazione con il mondo della finanza speculativa è molto ben spiegato negli articoli “Ciao sono Ieroglifo…” e “Tutto cominciò con..” che trovate nella sezione Idea Ieroglifo.
Lucio Fontana : Brand = Concetto Spaziale : Merce.
Lo stesso principio che è stato utilizzato per il mondo delle merci, per la musica, per lo sport eccetera, è stato nostro malgrado riportato anche nel mondo dell’Arte, trattandola come una merce e attribuendole del valore fasullo a prescindere dal suo valore autentico. Il noto fenomeno Fontana ne è esempio chiarificatore. Lucio Fontana, a mio parere, ha davvero comunicato un messaggio arrivando al limite del concettuale con il gesto del tagliare la tela e, se si fosse fermato ad un singolo esemplare, sarebbe potuta essere più che un’opera un simbolo manifesto a difesa dell’Arte.
Una sorta di denuncia. Invece l’ingordigia gli ha fatto cedere alle lusinghe del mercato che lo hanno supportato nel riempire il gesto da surrogati di significati inesistenti. Ne ha realizzati oltre 1.500. Scegliendo di fare una produzione seriale e, assecondando la richiesta del mercato, ha svilito la sua stessa idea e ha ridotto le sue opere a semplice merce.
Perché semplice merce?
Così come una T-shirt non cambia le sue proprietà qualitative e di prestazione con o senza il marchio applicato, allora la tela tagliata non acquisisce un valore differente in base a chi realizza il medesimo taglio. Se questo accade, significa che ciò che si sta acquistando non è l’opera ma il Brand e il vuoto significato che le si attribuisce.
Vediamo che Lucio Fontana si comporta come un Brand e tratta le sue opere come un prodotto.
Da qui l’equazione proposta: “Fontana” sta a “Brand” come “Concetto Spaziale” sta alla “comune merce”.
Mercificare l’Arte significa spogliarla del suo significato intrinseco, privandola del ruolo di strumento di crescita proprio della sua natura, per ridurla ad una maschera che ci impedisce la crescita e ci mantiene in una eterna adolescenza indotta.
Così facendo, aderendo e sostenendo il processo distorto Fare>Avere>Essere a discapito del armonico Essere>Fare>Avere, non si difende l’Arte ma la si inquina e svilisce.
In conclusione, parto dal presupposto che un Artista abbia in sé il dono di canalizzare e condurre nel mondo materiale un’intuizione, idea o pensiero al quale ha il privilegio di accedere; il suo talento è quello di trasferirli con abilità al fine di creare un canale di esperienza per il fruitore dell’opera, generando così una connessione con un mondo più sottile. Questa connessione, libera dai legacci di un sistema di mercificazione speculativa, restituisce all’Arte il giusto ruolo e valore autentico.
1– Parte dei concetti espressi in questo articolo potete trovarli in forma approfondita in:
Valore e Valori della Marca – Come costruire e gestire una marca di successo
Giampaolo Fabris e Laura Minestroni – Franco Angeli Editore.