Davvero può esistere un canale informativo che non preveda la presenza di una figura come quella del Critico, alla quale il pubblico si è ormai gradatamente abituato al punto da ritenerla indispensabile per capire qualcosa in un ambito del quale molti dichiarano di non intendersene?
Si, certo che può esistere, ma solo a particolari condizioni, riassunte in quell’asterisco messo in bella mostra accanto al fatidico titolo e che ora spiegheremo con la massima chiarezza, anche e soprattutto proprio per quel pubblico che in Arte non si sente competente ed ha bisogno di rassicuranti chiarimenti.
Quando nacque la Critica d’Arte?
Si è soliti attribuire la nascita della Critica d’Arte così come la conosciamo oggi a Denis Diderot, il celebre enciclopedista francese che a partire dal 1725, quando iniziarono le esposizioni artistiche del Salòn de Paris, come vetrina pubblica dell’Accademia di Belle Arti della capitale di Francia, prese a commentare per iscritto le diverse opere esposte, dandone una valutazione estetica e raccogliendo il favore del pubblico.
In seguito Diderot, dalla metà del 1700, coronò i suoi intenti divulgativi dirigendo assieme a D’Alembert il gruppo di intellettuali che diedero vita alla celebre Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, che raccogliendo ed ampliando i successi della britannica Cyclopaedia, Universal Dictionary of Arts and Sciences, divenne una pietra miliare dell’editoria di sempre.
Il Secolo Illuminista che lo consacrò come figura di spicco fu quello in cui, grazie agli intenti divulgativi dell’Enciclopedismo, il sapere potè raggiungere non più solamente la ristretta comunità degli studiosi attivi nelle Corti degli Aristocratici e del Clero, ma il più vasto pubblico della nascente terza classe, quella della cosiddetta Borghesia, che forte dalle ricchezze derivanti dai commerci e in seguito dall’industria, acculturandosi ambiva ad accreditare il proprio ruolo centrale nella vita della società.
Potremmo quasi dire infatti che l’affermarsi della tendenza enciclopedica dell’editoria fu per la fine 700 ciò che per la fine del 900 fu la nascita di Internet. Se allora la democrazia culturale mosse i primi passi, con Internet si consolidò una volta per tutte il concetto di pubblico generalista.
Ed ecco nascere, con il successo dell’Enciclopedia che definiva e dava posizionamento a vecchie e nuove categorie del Sapere, il genere letterario della Critica d’Arte, legato indissolubilmente sin da subito al crescente sviluppo del giornalismo, grazie al proliferare di testate e periodici.
Il ruolo del Critico
La figura del Critico d’Arte che con Diderot prese una sua fisionomia, si definì rapidamente come quella di uno scrittore che si fa portavoce del gusto estetico, suggerendo scelte ed orientamenti in particolare alle nuove classi sociali desiderose di affermarsi in forza dell’acquisto, spesso poi orgogliosamente esibito, di opere d’arte con il denaro accumulato grazie agli affari.
E in fondo, a due secoli e mezzo di distanza, i rispettivi ruoli non sono sostanzialmente cambiati, ma si sono semplicemente estremizzati. Il Critico d’Arte, provenendo indifferentemente sia dall’ambito scientifico-accademico che da quello letterario, ha messo le sue qualità narrative al servizio di una attività oscillante dall’approccio metodologico ed imparziale a quello soggettivo e persino personalistico, continuamente soggetto alla lusinga del potere che tale ruolo è tentato di assumersi.
Al contempo demiurgo e vittima dei cambiamenti sociali, sempre più legato ad essi con filo doppio, persino a quelli più frivoli come le mode, ha incarnato agli occhi del pubblico il simbolo maggiormente visibile di tutte quelle figure di operatori di cui il Sistema dell’Arte si è progressivamente dotato, dal curatore allo storico, al direttore di museo, ai funzionari di istituzioni pubbliche e private, ai galleristi e ai titolari di casa d’aste.
Il nuovo mercato
E dal secondo dopoguerra in poi è stato coinvolto di peso in quel fenomeno globale che è stata la nascita della cosiddetta Arte Contemporanea, dapprima come fenomeno culturale, quindi come mercato che ha scosso e in seguito sopravanzato per vivacità e record di quotazioni, quello ormai più statico e musealizzato dell’Arte Antica.
Proprio in questa fase, le dinamiche di quello che viene denominato Il sistema dell’arte hanno cominciato ad intrecciarsi con quelle di altri ambiti, i pulpiti dei battitori delle grandi case d’asta, ormai divenute imprese globali, hanno preso a somigliare sempre più alle postazioni dei broker delle borse, il mercato artistico a quello azionario e la ritualità dei celebranti dei due mondi, sempre più assimilata.
Arte, finanza, media e marketing
Il risultato è stato il prodursi di una deriva finanziaria della quale ormai iniziano ad accorgersi anche i media mainstream più generalisti. Certo, perché essendo diventato il sistema dell’arte una sorta di copia in scala ridotta del più vasto sistema finanziario, malgrado le dimensioni minori ha saputo produrre praticamente da zero fatturati colossali, avendo come pubblico proprio quei nuovi super ricchi che dai settori di business più all’avanguardia scalano posizioni patrimoniali.
Le opere d’arte, così come l’oro, che il cosiddetto Nixon Shock rese non più scambiabile con il dollaro, passano ormai la maggior parte del loro tempo relegate nei caveau di massima sicurezza, dai quali spesso non si spostano neppure quando cambiano proprietario, perdendo quindi la funzione edificante dell’offrire godimento contemplativo, per ridursi a mera merce su cui speculare.
E in questa macchina ormai diffusa globalmente nelle grandi capitali, in grado di macinare profitti limitati unicamente dalla capacità di marketing del sistema, la figura del Critico d’arte si presta ad essere il garante del fatto che i lotti di opere prescelte per andare all’incanto – la terminologia dell’asta non è casuale – sono meritevoli di stare nelle casseforti, perché valgono i tutti i soldi che sono costate. La notizia da dare ai giornali, che la strilleranno al pubblico del mainstream, non è la poesia, intensità e bellezza dell’opera venduta, ma è il nuovo record sensazionale, che straccia ogni precedente.
Purché sia “nuovo”
Ciò non vuol dire che attraverso il conglomerato descritto come sistema dell’arte non vengano oggi trattate anche opere di alta qualità artistica, ma questo non è il parametro principale con cui vengono selezionate.
Semmai pesa molto di più quello che le opere abbiano aspetti di novità adatti alla veicolazione nei meccanismi di promozione dei media. Ossia che in esse siano presenti quegli elementi di sensazionalismo in grado di alimentare la macchina mediatica fino a produrre record d’asta paragonabili a performance borsistiche.
La distopica fine di un ciclo
Questa è la figura di operatore a cui ci siamo riferiti con la parola Critico, e questo il senso dell’asterisco che vi abbiamo accostato. Quella che sta al livello massimo di giro d’affari e definisce modalità e tendenze, come anche le figure minori, epigoni più periferici nell’agire tale ruolo, che seguono imitando in provincia ciò che accade nelle capitali mondiali.
Ebbene, è di questo interprete e simbolo di una deviazione mercantilistica, che per l’Arte è quanto mai tossica, che non intendiamo si trovi mai traccia in queste pagine.
Facciamo a meno volentieri di questo esperto che ormai non può sottrarsi al ruolo di persuasore anche quando deve difendere l’indifendibile, perché le opere selezionate per entrare nel meccanismo di promozione devono produrre vendite record, indipendentemente dalla loro effettiva qualità artistica.
Il concetto del “fake”, imposto giornalisticamente alla massa come elemento della nuova normalità, la finzione che mascherandosi attraverso mille specchi pretende di sostituirsi alla nuda verità indica che siamo al termine disgregativo del ciclo di vita di un modello di civiltà, e che nel crollo, per quanto controllato, in molti riporteranno dei danni.
La figura dell’Artista in futuro
In apertura di questo scritto abbiamo parlato delle condizioni perché si possa rinunciare alla figura che nell’era moderna ha narrato le storie dell’Arte dapprima con la A maiuscola, e ora sempre più spesso minuscola.
Ebbene le condizioni sono molto semplicemente definibili: l’Artista, ogni Artista, ha il compito e la responsabilità di non essere solo un produttore di Arte, ma di imparare ad esserne Comunicatore, Curatore, Imprenditore.
Ossia fare a misura d’uomo quanto il sistema ha finora fatto a scala globale. Oggi gli strumenti tecnici per realizzare tali attività esistono e sono a disposizione dei volenterosi. Occorre solo, per i diretti protagonisti, la decisione di iniziare quel processo di emancipazione che permetta ad ogni produttore di contenuti di arrivare al proprio pubblico con una sempre minore intermediazione.
Questo mettersi in gioco è il solo ingrediente che possa riportare al centro della visione e della pratica dell’Arte concetti che, per compiacere il mercato, si è preferito mettere in secondo piano, ossia verità, bellezza, libertà.
Qualcuno si salva?
Possibile che tra chi l’Arte non la produce, tutti gli operatori si appiattiscano sul modello mercantilistico, personalistico, ed in fondo poco meritocratico che abbiamo poc’anzi tratteggiato?
In realtà no. A ricoprire i diversi ruoli del settore esistono anche persone eccellenti, di grande competenza, che continuano ad avere buonsenso, che sono autenticamente appassionate dell’Arte ed amano la Verità come elemento fondante del vivere.
Sappiamo che molti di loro si rendono conto della distopìa della situazione in cui versa il mondo dell’Arte, che manifestano a volte il loro scontento in situazioni protette, ma faticano a prendere pubblicamente le distanze da una realtà nella quale sono immersi come parte del meccanismo.
Ebbene, in queste pagine ci prenderemo la responsabilità di rompere per primi il ghiaccio dicendo cose che per alcuni saranno controverse, per altri attese da tempo, e ci impegneremo a farlo con onestà, franchezza e fair play.
Col tempo, sappiamo che qualcuno di loro si avvicinerà alle nostre posizioni. Che concorderà sul fatto che l’Arte progredisce quando si manifesta nel quotidiano di ognuno di noi e non in asettici ed elitari teatri di business. Quando può portare emozione e crescita nel cuore di miliardi di persone stremate dalle brutture dell’esistenza. Quando anziché unicamente ammirarla, quanti più si cimentino ad usarla come bussola nella vita quotidiana, come scala di valori, come pratica di miglioramento.
E ovviamente, chi ci porgerà la mano concordando sulla nostra linea, non potrà che ricevere un caldo benvenuto. Ça Va Sans Dire.